Il viaggio verso Zabargad inizia in un piccolo caffè fuori il paesino di El
Quseir, un ex villaggio di pescatori che ha conservato intatta la sua identità
dall’assalto del turismo, un lieve profumo di spezie e di deserto, i vicoli da
cui fanno capolino piccoli visi impolverati, le botteghe che espongono sulla
strada le ceste di frutta e la merce del vivere quotidiano.
Qui scendiamo dall’autobus per una breve sosta e, in attesa dell’autista che si
sofferma con un gruppo di uomini a fumare il narghilé, acquistiamo birra
egiziana e coca cola e iniziamo lentamente a far scivolare fuori da noi la
fretta, le agende, i numeri di telefono… tutto ciò che a Zabargad non ci
servirà.
Poche ore più tardi, veniamo accolti a bordo del M/Y Farouk, ancorato nelle
acque quiete del porto di Galeb, e ci corichiamo nella serena consapevolezza di
essere finalmente in vacanza: una vacanza che sarà scandita solo dal ritmo delle
immersioni, dai graditi spuntini, dal sorgere e dal calare del sole.
Il mattino seguente prendiamo subito contatto con i fondali al largo di Port
Galeb immergendoci sul reef di Marsha Shuna , dove ci lasciamo incantare dai
colori dei coralli e dalla vita della barriera. Giochiamo con i pesci pagliaccio
che si affacciano intrepidi dagli anemoni spettinati, esploriamo buchi e
spaccature alla ricerca di murene e lion fish, stendiamo le dita a scompigliare
i gruppi di anthias dei più diversi colori e allunghiamo lo sguardo verso la
sabbia per scovare razze e pesci coccodrillo; qualche fortunato riesce ad
avvistare anche uno squalo chitarra.
Dopo l’immersione facciamo rotta verso sud, per immergerci a Elphinstone Reef.
Si tratta di un reef lungo e stretto che digrada dolcemente verso il blu con le
pareti ricoperte di coralli di ogni genere e colore: coralli molli, alcionari,
gorgonie e molti altri che nascondono alla vista tante spaccature sorvegliate
dalle cernie e dai vigili Jack fish. Noi però, a dire il vero, attraversiamo il
pianoro con una certa fretta, distratti dalla promessa di un incontro con gli
squali longimanus, che ci hanno detto essere stanziali in queste acque: ed
infatti, al rientro verso la barca, vediamo avvicinarsi le silhouette di questi
squali caratterizzati dalle lunghe pinne e dai felini occhi gialli. Ci girano
intorno a lungo, mostrandosi in tutta la loro eleganza ed avvicinandosi a noi
fino quasi a toccarci incuranti dei flash che li immortalano, e noi rimaniamo ad
osservarli, finché le bombole ce lo consentono, sospesi in pochi metri d’acqua e
nella nostra emozione.
La mattina seguente, dopo aver navigato tutta la notte, giungiamo a Rocky Island,
una lingua di terra dorata a un’ora di navigazione dall’isola di Zabargad. Qui
ci immergiamo con la speranza di qualche incontro con le specie pelagiche,
speranza che non rimane del tutto insoddisfatta: avvistiamo infatti parecchi
carangidi, qualche tonno ed un grosso barracuda.
Salpiamo in tempo per giungere a Zabargad all’ora del tramonto (e
dell’immancabile fetta di salame), e ci godiamo gli ultimi riverberi del sole
sulla costa levigata, che fanno risaltare tutti i colori dei minerali contenuti
in questa terra, che ci appare ora come un mosaico di tutte le tonalità del
verde, del blu e del giallo.
Il giorno successivo, dopo un’immersione nella laguna Sud, scendiamo a terra e
ci avventuriamo in fila indiana fra le dune rocciose, sotto un sole senza
possibilità di scampo.
Qui esploriamo l’ingresso angusto delle miniere di olivine da tempo abbandonate,
e ci arrampichiamo in cima alle alture per ammirare il panorama della laguna che
si insinua negli anfratti dell’isola, frastagliandosi e riempiendosi di riflessi
verdi e turchini. Solo pochi temerari (dotati di vere scarpe) raggiungono la
vetta più alta, mentre un gruppo più nutrito (con sandali e ciabatte) abbandona
la direttissima per le cime e si dirige lungo un sentiero a mezza costa alla
laguna interna, quasi interamente circondata dall’isola: un paradiso irreale,
dove rinfrancarsi dalle fatiche della camminata con un bagno nell’acqua calda e
trasparente.
Nel pomeriggio ci immergiamo su un relitto nella laguna di Zabargad, che affiora
come un fantasma dal fondale sabbioso su cui si aggirano, come impauriti e
reverenti, pochi pesci di barriera. Al rientro verso la barca incontriamo nel
blu un piccolo branco di barracuda curiosi che si lasciano avvicinare e ci
attorniano amichevoli, come per rassicurarci.
Lasciamo Zabargad nella notte per svegliarci la mattina seguente in mezzo al
mare, a ridosso di un reef che si intravede a circa due metri dal pelo
dell’acqua: siamo a Shaab Maksur, dove ci immergiamo in un paesaggio corallino
molto vario, popolato da razze, murene e pesci napoleone che vengono a giocare
con le nostre bolle durante le soste di decompressione. Fiancheggiamo anche una
frana di corallo, intorno alla quale nuotano cernie dall’espressione minacciosa,
tonni e gli impassibili carangidi argentati.
Dopo il pranzo ci spostiamo ancora verso nord, per immergerci a Shaab Claudio,
in una grotta piena di spaccature, giochi di luce e armoniose formazioni
coralline. Uscendo dalla grotta incontriamo una grossa murena bruna, che
serpeggia a lungo sotto di noi, mostrandoci, vanitosa, la sua sinuosa danza. Per
tutta la notte navighiamo verso nord, per ritrovarci, il giorno successivo,
nuovamente a Elphinstone Reef. Ci immergiamo al sorgere del sole, impazienti di
ritrovare i longimanus, che non ci deludono: tornano anzi a giocare con le
nostre pinne, accompagnati questa volta da una coppia di eleganti delfini, che
non si ferma per partecipare ai nostri giochi, ma prosegue rapida verso il blu,
come compiaciuta dei nostri sguardi ammirati.
Il viaggio a Zabargad termina quel pomeriggio, nell’immersione a Marsha Shuna,
dove ci sparpagliamo lenti in mezzo alle alghe alla ricerca del dugongo,
mammifero mansueto dalla strana testa, che di queste alghe pare vada ghiotto ma
che noi cerchiamo invano.
Si conclude così il viaggio a Zabargad, con la pigra ricerca del dugongo che,
per fortuna, rimane vana, offrendoci un valido pretesto per tornare presto ad
immergerci in queste acque accoglienti e generose.
Annalisa