E’ la quarta volta che mi reco in Sudan, il più vasto paese africano che si affaccia per circa 400 miglia su una delle aree più spettacolari del Mar Rosso, a cavallo fra l’Egitto e l’Eritrea, completando così un itinerario iniziato con l’esplorazione dei fondali a nord di Port Sudan fino ad Angarosh, nel 2007, per terminare in aprile 2016 con una indimenticabile crociera nella zona del profondo sud, fin quasi a dieci miglia dal confine Eritreo.
Veniamo accolti da un venticello afoso e umido con oltre 30° di temperatura, un clima ben diverso da quello lasciato in Italia, seppur mitigato dai primi caldi primaverili, e le aspettative sulle condizioni meteo marine sono più che buone.
La sveglia arriva con due colpi decisi sulla porta della cabina. Ore 8 del mattino. E’ il primo giorno di una lunga crociera di 10 giorni a bordo del Voyager, uno splendido M/Y di quaranta metri di lunghezza col quale navigheremo per oltre cento miglia a sud dal punto d’imbarco, girovagando fra reef incontaminati fuori dalle usuali rotte turistiche.
Ogni volta che torno in questo paese l’emozione prevale fortissima. E’ un riflesso incondizionato, che fa scattare in me lontani ricordi di bambino quando, in adorazione davanti alla tv, mi inebriavo di documentari realizzati in queste acque dal comandante Cousteau e dal suo equipaggio, mentre oggi mi trovo qui, a rivivere le stesse esperienze vissute da quegli uomini straordinari che hanno circumnavigato tutti i mari del globo.
Esco sul ponte e mi trovo davanti il mitico faro di Sanganeb, circondato da un reef sempre straordinario. Resto immobile ad osservare questo scenario da fiaba, assaporando il vento che porta con sé il sapore del mare.
A distogliermi dai miei pensieri ci pensa il suono assordante della campana, che invita tutti gli ospiti al consueto briefing pre immersione. Faremo il primo tuffo nel versante di SW, la consueta check dive per il controllo della pesata e dell’assetto e per una prima fase di ambientamento dopo la lunga stagione invernale lontani dal mare e ci divideremo in due gruppi, uno coordinato da Hammam, una guida egiziana che ha fatto la storia della subacquea in questi paradisi sperduti fra Egitto, Sudan e Arabia Saudita, mentre il secondo gruppo sarà affidato a Marco, altra guida di grande esperienza e sempre disponibile alle esigenze degli ospiti a bordo.
Già dai primi metri il reef si mostra in tutta la sua bellezza, con piccoli alcionari dai colori brillanti, grotticelle insediate da coralli a frusta, e tanto pesce di barriera da dove spiccano livree sgargianti come quelle inconfondibili di qualche bel Pomacanthus.
i scende fino a -25 metri, dove un pianoro esteso di sabbia bianca forma un ambiente luminoso, intervallato da funghi rocciosi adornati di spugne e alcionari di ogni forma e colore. Tutt’intorno coralli a frusta e cespugli di corallo nero, fra i quali fanno spicco isolati esemplari di pesce falco.
Più sotto fa la comparsa una piccola tartaruga, indaffarata con un pasto a base di alghe e qualche boccone di alcionaria, una prelibatezza per palati raffinati. Per nulla infastidita dalla mia presenza, ne approfitto per avvicinarmi, sfruttando la posizione ottimale del mio amico Fabio per realizzare qualche scatto interessante da portare a casa.
Prima di riemergere Sanganeb ci offre un’ultima perla, grazie al carosello argentato di un gruppo di carangidi che ritmicamente si disgrega e si ricompone, e come un intruso mi inserisco nel banco abbandonandomi alla piacevole sensazione di nuotarci insieme così a stretto contatto da poterli quasi toccare. Niente male come prima immersione. Il Sudan ci accoglie così, ed è per questo che lo adoro.
Nel pomeriggio ripetiamo l’immersione sullo stesso plateau, spingendoci però verso il mare aperto alla ricerca del pelagico. A quote più profonde l’ambiente coralligeno si presenta particolarmente ricco, con formazioni rocciose che esplodono di vita bentonica e brulicanti di ogni forma vita. Tonni di media taglia sfrecciano nel blu, mentre a diverse batimetriche si alternano formazioni di barracuda, carangidi e squali grigi che sorvegliano il territorio. Nelle zone più superficiali mi dedico a qualche scatto tra gli anfratti delle pareti, dove pascolano numerose famigliole di ombrine dolci labbra, cernie, pesci pagliaccio, lutianidi, fucilieri e tanti altri tipi di fauna, poi senza fretta esco dall’acqua per rientrare a bordo del Voyager dove ci attende un fuori programma, molto apprezzato, a base di pizza e frullato di cocco.
C’è una luce meravigliosa adesso, così si decide frettolosamente di salire sul faro di Sanganeb dove dall’alto dei suoi 50 metri si può godere il panorama mozzafiato dell’intero atollo che si estende verso nord per 3,5 miglia e un mare verde smeraldo dalle trasparenze straordinarie che si fonde all’orizzonte con l’azzurro del cielo.
Dopo una breve visita alle strutture del faro e gli immancabili acquisti di magliette e cappellini, rientriamo a bordo per la prima notturna della crociera. Ci tuffiamo dalla barca per raggiungere la parete alla quale siamo ormeggiati, perlustrando ogni pertugio alla ricerca di soggetti interessanti. Si possono scorgere nudibranchi, crinodi, gamberi, pesci scatola, pesci palla, pesci pappagallo in tana, e altre specie di piccola taglia.
La mattina seguente, dopo una luna navigazione notturna, siamo ormeggiati davanti a Karam Masamirit, uno spettacolare cono roccioso che da profondità abissali emerge in superficie formando una minuta isola sabbiosa. E’ il primo avamposto del profondo Sud, e appena immersi la sensazione è di trovarsi in un luogo inusuale, estremamente selvaggio, con pareti che sprofondano in un mare color petrolio, ma già dai primi metri colonizzati da ogni genere di vita. Intorno ai 30 metri lo spettacolo è davvero incredibile, tale da rendere arduo descrivere l’emozione provata per la rara bellezza che si è presentata davanti ai nostri occhi.
Un tappeto enorme ed esteso di alcionari color viola, rosso, bianco, arancio, rosa, intorno ai quali brulica una vita di barriera intensa dove cernie, chirurgo, farfalla, balestra, piccoli carangidi, anthias, e tanto altro ancora si dividono ogni spazio disponibile. Scaduta l’attesa dei martello dopo una sosta sul drop off intorno ai 30-35 metri, ci dedichiamo alla perlustrazione della parete estremamente ricca e interessante, colonizzata da grossi ventagli di gorgonie bianche mentre sul pianoro, pochi metri più in alto, trovano posto due sculture coralline impreziosite da una quantità inverosimile di alcionari multicolori e ovunque si nota una presenza massiccia di Helgerda Gibbosa, grossi nudibranchi che vivono sul substrato roccioso a ridosso delle spugne.
Dopo la colazione il Voyager molla gli ormeggi per altre due ore di navigazione verso sud, facendo rotta a Daharat Abid, un piccolo isolotto sabbioso abitato da una colonia di sule. Siamo giunti nella propaggine corallina del sud sudanese più estrema, ultima isola dell'arcipelago di Suakin a poche miglia dal confine Eritreo.
Questo arcipelago, come ci racconta Marco durante il briefing, è formato da piccole isole sabbiose ricoperte da bassi cespugli, sulle quali spesso nidificano sule e altri piccoli uccelli. Ogni isola ha nelle vicinanze uno o più “habili”, termine in lingua locale che identifica i torrioni madreporici che dalle profondità marine arrivano in superficie senza affiorare, restando a 3-5 metri sotto il pelo dell’acqua. La morfologia delle cigliate non si discosta molto da quella di altre barriere coralline, con pareti più o meno verticali con pianori sui 20-30 metri e successivi gradoni che scompaiono a grandi profondità.
La bellezza di queste isolette è struggente e selvaggia, soprattutto se osservate dall’alto del ponte superiore della barca. Lingue di sabbia infuocate dai raggi cocenti del sole, che assomigliano a piccole gemme adagiate su un mare turchese e trasparente.
E’ sott’acqua, però, che la natura ha compiuto un vero capolavoro. In tutti i siti dove ci siamo immersi, infatti, la concentrazione di coralli, madrepore, alcionari, è straordinaria e lo stato di integrità assolutamente perfetto, senza alcun segno di sofferenza o di azione distruttiva da parte dell’uomo.
Per quanto concerne gli avvistamenti di pelagico, abbiamo incontrato squali martello, seta, piannabianca e tonni in ogni immersione. Gli squali seta, o Silky o Carcharhinus Falciformis nella forma scientifica, sono onnipresenti e di indole non propriamente tranquilla. Particolarmente curiosi, si avvicinano di frequente ai subacquei con giri concentrici sempre più vicini e spesso seguono i sub a fine immersione, fin sotto la poppa della barca dove rimangono per ore senza allontanarsi.
Ma andiamo con ordine. Restiamo a Daharat Abid per l’intero giorno, inziando la perlustrazione dei fondali ad Ovest, seguendo i criteri dettati dalle condizioni delle correnti.
Scendiamo fino a 30-35 metri, sorpresi dal guizzo improvviso di uno squalo seta che si dilegua velocemente. La parete scende a precipizio, e sulla batimetrica dei 25-30 metri ci sono rientranze e grotticelle che ospitano diverse specie di barriera e nuvole di pesci vetro, mentre più in superficie un via vai senza sosta di pesci di piccola taglia che si fanno cullare da un moto ondoso costante, molto fastidioso per chi manovra con macchine fotografiche e telecamere spesso ingombranti.
In fase di risalita un incontro inaspettato con un Silky particolarmente curioso e intraprendente, seguito dal guizzo improvviso di un secondo esemplare che da una decina di metri di profondità si è lanciato verso le pinne di una nostra compagna, fortunatamente senza alcuna conseguenza.
Tutto il tratto di parete che abbiamo percorso è davvero notevole, con molti anfratti colmi di vita, colonie di alcionari, attinie e anemoni attorniati dai pesci pagliaccio, qualche barracuda solitario e coppie di carangidi in caccia, oltre ad una esuberante vita di barriera.
Qua e là pezzi di rete e grosse funi abbandonate sulle quali hanno attecchito begli esemplari di alcionari, a testimonianza di una probabile attività di pesca.
Nel primo pomeriggio scendiamo a terra per una breve visita sull’isola, l’habitat ideale di una numerosa colonia di sule con molte femmine in fase di cova e altre a vegliare sui piccoli già nati. Mi sono sentito un intruso ma nello stesso tempo rasserenato dall’atmosfera magica di quel luogo, dove la natura, padrona indiscussa, restituisce sensazioni d’altri tempi ormai annientate dai ritmi frenetici della nostra blasonata civiltà.
Il mattino seguente, dopo una sveglia anticipata alle 6.30 e una veloce colazione con the e biscotti, ci ritroviamo a 30 metri di profondita sul versante ovest in attesa del grande evento. Solo pochi istanti, per ammirare il grandioso spettacolo di un banco di martello che si avvicina incuriosito, pur mantenendo una distanza di sicurezza. E’ fantastico, saranno un centinaio di esemplari, ma sotto di noi a batimetriche più impegnative si intravede il resto del gruppo, probabilmente i più piccoli, come suggerisce Hammam.
Il tempo purtroppo passa velocemente e i nostri computer non tardano ad avvisarci che è giunta l’ora di risalire. La parete è strabiliante e pulsa di vita, con coralli duri e molli che non mi stancherò mai di fotografare talmente son belli, per non parlare delle tante specie di pesci che animano ogni frammento di roccia. Il rientro in barca è concitato e l’entusiasmo è alle stelle. I commenti si sprecano ed è un intreccio di racconti e di emozioni.
Dopo un veloce consulto da parte di tutto il gruppo, concordiamo nel rimanere ormeggiati per sfruttare la massiccia presenza di pelagico. Scelta rivelatasi molto saggia, dato che in tutte le immersioni i signori del mare, più o meno numerosi, li abbiamo sempre incontrati.
Nel primo pomeriggio del giorno successivo si parte per Habili Safina, un nuovo sito a circa un’ora di navigazione. Il mare è calmo con una leggera corrente che complica un po’ le manovre di attracco. Dopo un briefing e una vestizione veloci, siamo pronti per saltare in acqua e scendere a gav sgonfio per contrastare la corrente contraria. Temporeggiamo per una decina di minuti nel blu a -35, ma dopo un nulla di fatto desistiamo. Poi, come d’incanto, alcune sagome inconfondibili si materializzano come ombre, seguite a loro volta dall’ondeggiare sinuoso di decine di martello e altrettanti ancora si intravedono sul fondo a quote più impegnative.
In acqua libera nuotano anche carandigi e barracuda, napoleoni, ricciole, Silky, nuvole di pesci chirurgo, mentre sul cappello un intenso movimento di minutaglia popola ogni piccolo pertugio. Ancora una volta il rientro alla barca è contrassegnato dalla presenza di due esemplari di squali seta con i quali mi soffermo per quasi mezzora. Tradiscono la loro apparente tranquillità con guizzi improvvisi, saliscendi a quote diverse, improvvisi avvicinamenti e repentini dietrofront. Consumo l’intera scorta d’aria, ma risalgo soddisfatto del fuori programma e a malincuore saluto quegli splendidi animali che continuano a volteggiare pochi metri sotto di me.
Lasciamo Habili Safina e dopo mezzora circa di navigazione ormeggiamo a Habili Miyum Seghir, un torrione madreporico che da circa 4-5 metri di profondità scende a gradini successivi fino a venticinque metri per poi precipitare a profondità abissali, con pareti caratterizzate da formazioni estese di corallo duro, piccoli alcionari e una ricca presenza di spugne.
Poco distante c’è Habili Miyum Kebir, il fratello maggiore del vicino Seghir, e in entrambi i casi appena immersi ci si rende conto di quanto l’ambiente sia selvaggio e di quali sorprese possano riservare. Troviamo pianori impreziositi da coralli duri, grossi blocchi madreoporici accatastati, grotticelle che offrono riparo a piccoli pinna bianca, agglomerati corallini in superficie assolutamente straordinari e pareti che si inabissano vertiginosamente nell’ignoto, e ovunque c’è un tripudio di pesce di qualsiasi specie e dimensione: carangidi, barracuda solitari, squali seta, squali martello, cernie di piccola e media taglia, tonni, murene, dentici, e tutta la già citata fauna stanziale.
Senza dimenticare lo sguardo attento e pungente di un grande squalo seta di almeno tre metri e mezzo, intento a tenerci compagnia a distanza così ridotta da costringere i sub a mantenere alta la soglia di attenzione.
La fortuna è dalla nostra, così il mattino seguente un cambio inatteso della corrente proveniente da sud, invece che da nord, fa aumentare ulteriormente le aspettative. Tutto è confermato appena ci tuffiamo, perche già nei primi metri dalla superficie diversi squali seta si avvicinano col classico atteggiamento curioso. Continuiamo la discesa attestandoci sui -48 mt dove staziona un bel gruppo di martello, mentre altri sub che si sono spinti ancora più fondi vengono letteralmente circondati da decine di esemplari di taglia più piccola, in uno show senza fine.
Siamo giunti a metà di un viaggio memorabile ma le emozioni non sono ancora terminate.
Iniziamo la tappa di risalita del Sudan, che prevede una sosta a Karam Masamirit. E’ qui che avviene un fatto a dir poco eccezionale.
E’ da poco terminato il pranzo, quando voci concitate avvisano di un movimento insolito sotto la barca: “Globicefali! Globicefali!”. Non esito e corro a recuperare maschera, pinne e macchina fotografica. Mi tuffo in acqua con cautela viste le sagome poco rassicuranti di tre squali seta che presidiano la zona.
I cetacei, un gruppo di una decina di individui fra i quali anche un cucciolo, si sono allontanati ma d’improvviso fanno dietrofront e si riavvicinano, compiendo ogni genere di piroette. Sono fantastici, scendono e risalgono emettendo sibili acuti e melodiosi, si voltano e si fanno fotografare, compiendo infine un gesto clamoroso sorridendomi nella classica smorfia dei delfinidi, allontanandosi con euforica allegria.
Ricompaiono quando, da lì a poco, ci tuffiamo per la successiva immersione. Sono irruenti, audaci, euforici ed è palese il loro desiderio di interagire con noi. Il delirio esplode quando un ragazzo dell’equipaggio da gas al motore del gommone, scatenando una rincorsa inimmaginabile da parte di un globicefalo. Uno spettacolo unico e irripetibile, che rimarrà impresso a vita nella mia memoria e che ha certamente superato ogni più ottimistica aspettativa dei subacquei presenti a bordo.
La prossima tappa di rientro è Shaab Ambar, un reef che si estende per quasi 5 miglia, di fronte alla località di Suakin. Le peculiarità di questo sito sono la presenza di grandi acropore che fungono da protezione ai piccoli di pinna bianca, gruppi numerosi di pappagallo bisonte, una moltitudine di grandi labbra, fucilieri, funghi madreporici tappezzati da ogni forma di vita, e tanto altro ancora.
Si prosegue per Shaab Jumna, un reef riconoscibile per la presenza in superficie di due piccole torrette che fungono da fari di segnalazione per la navigazione notturna. La vista dal ponte superiore del Voyager è meravigliosa, per i colori del mare che sfumano dal bianco al celeste all’azzurro più intenso, e la trasparenza eccezionale dell’acqua.
Siamo nel regno sudanese degli squali, famoso per le celebri riprese di giganteschi banchi di martello trasmesse nei documentari naturalistici di tutto il mondo.
Il reef ha il cappello sui tre metri circa, con un’estensione di qualche centinaio di metri, e affonda verticale a 500 metri di prondità. Solo in un versante fa un leggero declivio sui -50, per poi continuare la caduta nell’abisso. Le pareti sono belle e colorate, presentano ampie fessure passanti dalle quali filtrano scenografiche sciabolate di luce, ovunque si notano grandi ramificazioni di corallo nero e uno scarso insediamento di alcionari.
Nel programma di viaggio sono previste più immersioni a Shaab Jumna ma le condizioni di corrente sono sfavorevoli, e conseguentemente gli avvistamenti dei grandi predatori risultano scarsi, nonostante le considerevoli quote alle quali ci siamo immersi. Dovremo accontentarci di tonni, carangidi e qualche barracuda, e ripartire il giorno successivo per il grande rientro fino a Sanganeb, dove riusciamo ad effettuare una discesa sul plateau a Sud e, grazie alle condizioni meteo marine favorevoli, anche su quella di punta Nord, per poi dirigerci verso l’Umbria per l’ultima immersione di questa crociera.
Concludo questo racconto con un breve riepilogo. In dieci giorni di navigazione abbiamo percorso circa 280 miglia fra andata e ritorno e abbiamo esplorato luoghi fantastici come Sanganeb Sud, Karam Masamirit, Daharat Abid, Habili Safina, Habili Miyum Seghir, Habili Miyum Kebir , Shaab Ambar, Shaab Jumna, quindi nuove immersioni a Sanganeb Sud e Nord e infine il relitto dell’Umbria.
Lungo l’itinerario abbiamo incontrato e visitato isole disabitate, piccoli gioielli incastonati nell’azzurro del mare dove la natura regna sovrana e l’isolamento è assoluto.
Le immersioni sono al top in termini di tipologia di fondali e qualità e quantità di avvistamenti: barriere meravigliose con uno stato di salute del coralligeno assolutamente perfetto, profondità impegnative, pesce pelagico e di barriera ai massimi livelli con squali martello in abbondanza, squali seta, squali grigi, pinna bianca, carangidi, barracuda, tonni, e tutta la fauna e microfauna delle quote più superficiali sempre abbondante.
Abbiamo avuto il privilegio di un avvistamento unico nel suo genere a queste latitudini, con un gruppo di magnifici e giocosi globicefali che da soli hanno valso il viaggio.
Una barca eccellente, un equipaggio efficiente e disponibile, due guide esperte come Hammam e Marco, assieme a un gruppo simpaticissimo che da subito si è ben amalgamato hanno reso questa crociera davvero unica e di altissimo livello.