Un sogno chiamato Gibuti

Non so se sia possibile innamorarsi di un viaggio, o meglio, dell’idea di un viaggio… se questo è vero, ecco, io mi sono innamorata di Gibuti ancor prima di visitarla. Dopo aver rincorso, desiderato e sognato questa destinazione per diversi anni, poi sfumata ogni volta per varie motivazioni e congiunture, mi preparo finalmente a vivere la mia avventura, emozionata come un bimbo durante la notte di Natale. Il mio viaggio a Gibuti inizia in una fredda sera di fine gennaio. Mentre l’Italia è accerchiata dai gelidi venti siberiani, l’Africa ci aspetta a poco più di 6 ore di volo con il suo caldo, i suoi colori sgargianti, i suoi profumi. Il tragitto dall’aeroporto alla barca, attraverso strade polverose e donne velate con chador dai colori vivaci, ci cala immediatamente in una dimensione sospesa da ultimo avamposto di frontiera.

Il nome Gibuti evoca infatti, distese desertiche e remote, affascinanti avventurieri alla Corto Maltese, atmosfere lontane, profumi coloniali, paesaggi e, non ultima, la Legione Straniera, roba da far impallidire anche Indiana Jones!
La nostra avventura a Gibuti si chiama squalo balena e non è una leggenda.
Questi simpatici bestioni arrivano nelle calde acque del golfo di Tadjoura in un determinato periodo dell’anno che va da fine ottobre a febbraio. Nessuno sa ancora con certezza per quali motivi e perché proprio qui. Tenendo conto che si tratta per lo più di esemplari giovani (della grandezza, per intenderci, di un pulmino che va dai tre ai sei metri…), le ipotesi sono diverse: nutrimento in abbondanza, acque tranquille e riparate dal mare aperto, clima ed ambiente favorevole.
Ed è proprio dal Golfo di Tadjoura che inizia la Whale Shark Expedition 2012.

Il nostro biologo a bordo, Emilio, ci porterà alla scoperta di questi misteriosi giganti del mare, illustrandoci di serata in serata le condizioni che rendono possibile il concentrarsi di questi incredibili migratori degli oceani.
Eccoci pronti al primo tuffo. Ogni giorno le uscite in gommone alla ricerca degli squali balena si alterneranno costantemente alle immersioni, con puntualità svizzera in questo scampolo sperduto di Africa. Le nostre guide, Fahran e Faisal, tanto “fou” (pazzo) l’uno quanto serio e compassato l’altro, si sfidano a colpi di onda e…di squalo balena! Al timone si alterna anche
Davide, la mascotte del gruppo, 9 anni ed un cipiglio da Capitan Nemo, si rivelerà un marinaio provetto oltre che un instancabile fan dei Simpson e dei videogames che consuma in quantità industriale.
 Inizia la ricerca, l’ansia è al massimo. Ci saranno? Quanti sono? Dove sono? Gli altri lo hanno avvistato? Finché al grido di “squalo paletta!!” di Fahran (sinceramente un mistero, per tutta la settimana continuerò a chiedermi come fanno ad avvistarli), ci gettiamo come indemoniati all’assalto del gigante subacqueo. Improvvisamente dimentichi tutte le raccomandazioni del nostro biologo e del capitano per avvicinarci a questi grandi animali senza spaventarli (non tuffarsi mai davanti ma sempre di lato, non toccarli, non usare il flash, non fare movimenti bruschi). Quando finalmente vedo il bestione nuotare sinuosamente nelle acque della piccola baia di fronte al CECAD (nei giorni successivi li troveremo quasi sempre lì, a volte a pochi metri dalla riva in cui si rinfrescano i soldati, forse anche loro alla ricerca dei balena…!), il centro di addestramento della Legione Straniera (sì, proprio quella dei fumetti di Tin Tin), non riesco a controllarmi, vado giù e me lo trovo di fronte. L’ultima volta che l’ho incontrato risale a qualche anno fa, nelle calde acque del golfo del Messico, decisamente troppo tempo! Il pesce più grande dell’oceano che mangia la creatura più piccola, come ci mostrerà poi in serata Emilio, presentandoci quello che lui definisce “il magnifico mondo del plancton”.

È a dir poco meraviglioso. La sua andatura è ammaliante, quasi ipnotica, l’inconfondibile livrea con le macchie bianche splendenti, che costituiscono un tratto distintivo di ogni singolo esemplare. La luce del primo giorno si rivelerà fantastica e inizio a scattare foto, a fare riprese, a cercare l’angolatura migliore. Non ce n’è mai abbastanza, anche perché, ogni volta che mi tuffo, mi ritrovo puntualmente sulla testa dell’amico balena e sono costretta a fare continui slalom per cercare di schivare l’enorme pinna caudale dell’animale che mi sfiora continuamente ma poi, ogni volta, riesce molto elegantemente ad evitarmi. Alla fine rimaniamo in acqua più di un’ora, costretti a malincuore ad uscire solo per il pranzo che ci aspetta in barca. Dopo la siesta, è tempo di immersioni. Sott’acqua è la copia fedele del paesaggio tormentato e lunare che c’è sopra: pareti verticali, cadute laviche che raggiungeranno la loro massima espressione nel Ghoubbet. La visibilità non è delle migliori (del resto, con i balena in giro non si può pretendere più di tanto!), ma c’è una vita subacquea estremamente ricca ed affascinante che promette di non deluderci affatto. I nomi dei siti di immersione si susseguono come fotogrammi così come gli avvistamenti di tartarughe, aquile di mare, barracuda, carangidi, tonni che ci accompagneranno in quasi tutte le nostre uscite. Nel pomeriggio, nonostante una ricerca instancabile da parte delle nostre guide, i balena si fanno desiderare. Le condizioni sono ottimali, ma dei nostri amici neanche l’ombra. La notte porta consiglio e si va a dormire cercando ognuno di noi di evocare, con tutte le preghiere conosciute, lo squalo balena.
Il giorno successivo ci regala altri avvistamenti di balena, prevalentemente durante la mattinata. Ci vuole molta pazienza. Del resto, non è affatto facile stare dietro a questi bestioni che, a dispetto della loro mole e della loro apparente goffaggine, sono incredibilmente agili e sfuggenti, oltre che eleganti. Tra una discesa ed una risalita alla Navy Seals dai gommoni (altro che Legione Straniera, qui mi sembra di girare Soldato Jane!), la fatica è tanta e sono costretta spesso a riprendere fiato, abbandonando così gli inseguimenti, soprattutto quando i simpatici pescioni si inabissano. Alla testa di questi assalti c’è sempre Luciano che, armato della sua videocamera HD nuova di pacca, vuole fare concorrenza al National Geographic Channel, riuscendo non solo a star dietro ai balena, ma anche a superarli ed a posizionarsi sempre di fronte…a lui il titolo indiscusso di Aquaman della crociera (e tutta la mia ammirazione)! Quando non riusciamo a vederli, su suggerimento di Luigi, proviamo, con scarsi risultati, un metodo alternativo di avvistamento che ho battezzato whale shark surfing, che consiste nel farsi trainare attaccati ad una cima dal gommone mentre si scrutano le profondità marine alla ricerca dei bestioni (ma come ci è venuto in mente!).

Ma non si vive di soli balena (purtroppo). All’alba del terzo giorno, in attesa che si creino condizioni di avvistamento migliori, salpiamo alla volta del Golfo del Ghoubbet.
L’ingresso nella passe ci regala una vista a dir poco spettacolare. L’imbuto del Ghoubbet, letteralmente “tasca del disastro”, si trasforma davanti ai nostri occhi in una tasca delle meraviglie che si incastra sapientemente tra il Mar Rosso ed il Golfo di Aden con i suoi magnifici "panettoni", coni vulcanici che sembrano galleggiare sull'acqua, elementi distintivi di questo suggestivo tratto di mare.
Durante le immersioni non si registrano particolari avvistamenti, mentre lo snorkeling, che pratichiamo in una bellissima baia blu cobalto, ci regala incontri emozionanti, come tartarughe, aquile di mare e pesci di ogni tipo a pochi metri dalla superficie.

Le pareti sono spettacolari, con cadute ripide ed inquietanti (come quelle della Vierge Rouge, la vergine rossa), quasi che i vulcani e le montagne che ammiriamo in superficie si prolunghino negli abissi. I coralli formano dei giardini di raffinata architettura tra una parete lavica e l’altra. Il richiamo di questo paesaggio arido è irresistibile, così il gruppo al completo è pronto nel pomeriggio a sostituire le pinne con delle comode (si fa per dire) scarpe da trekking, per cimentarsi in un’indimenticabile scalata al vulcano. Il paesaggio che ci troviamo davanti ha un che di minaccioso e preistorico allo stesso tempo, tant'è che sembra di essere stati catapultati sul set di Jurassic Park (non mi stupirebbe affatto veder comparire da un momento all'altro sulla spiaggia qualche dinosauro pronto a rincorrerci).
La salita è emozionante come rincorrere gli squali balena, si cammina e ci si arrampica in continuazione senza mai arrivare… Alla fine, il panorama del golfo al tramonto è da togliere il fiato: falesie spettacolari fanno da cornice ad un mare che i più coraggiosi tra noi vedono spuntare come un enorme occhio azzurro dagli altissimi strapiombi. Il Ghoubbet ha un fascino tormentato che ti prende e ti entra dentro in modo brusco come il suo paesaggio vulcanico.

A corollario di una giornata che sembra infinita, siamo pronti ad affrontare anche la notturna ed una piccola invasione di granchi rossi (sembrano dei diavoli, ma nel Ghoubbet, mi sembra di capire, è tutto spettacolare!) che si ammassano minacciosi intorno alla barca ed ai gommoni con immensa gioia mia e di Davide, che si lancia in temerarie riprese con la mia videocamera subacquea.
Gli ultimi due giorni in mare ci riportano nel Golfo di Tadjoura, perché la ricerca dei balena non è ancora terminata… Avvertiamo subito che qualcosa è cambiato sia in acqua (è molto più ricca di plancton e dei già noti granchietti rossi) sia nell'aria (c'è molto più vento di quando ce ne siamo andati). Non ci facciamo pregare e siamo già sui gommoni. Eccone uno, no sono due, tre! Quando mi tuffo, mi trovo sopra di lui ed il primo istinto è quello di sfiorarlo, anche solo per un attimo... non lo fare non lo fare, continuo a ripetermi come un mantra, mentre sento i polmoni andarmi a fuoco. Fotografiamo tutto: pinne (soprattutto le nostre…!), branchie, piccole e grandi ferite, insomma ogni cosa possa consentire ad Emilio di identificarli e mapparli. Gli avvistamenti più sorprendenti avvengono nel tardo pomeriggio, quando le correnti aumentano ed il vento e le onde crescono. Questa volta gli squali mangiano: li troviamo infatti in posizione verticale con la bocca spalancata per nutrirsi e filtrare il plancton, di cui l’acqua è così ricca che sembra ribollire davanti alle bocche dei “giganti buoni” (scopriremo in seguito, sempre grazie al nostro biologo, che il caratteristico tremolio dell’acqua è causato da microorganismi chiamati sagitte, di cui sembra siano ghiotti i nostri amici filtratori).
Ad un certo punto, l'immedesimazione è tale che anch'io, pensando forse di essere uno squalo balena, ingoio almeno due litri d'acqua. Ma l'incontro è spettacolare e non riesco a pensare ad altro, se non ad immortalare il momento in cui la sua bocca si apre a tal punto da inghiottirmi. Il sole cala e dobbiamo salutare i pescioni.
L'indomani è l'ultimo giorno e ci alziamo con l’intenzione di fare una scorpacciata di squali balena. Alcuni di noi (me compresa) rinunciano all’ultima immersione pur di immergersi più a lungo ed avvistare il maggior numero possibile di balena.
Detto fatto. Ad un certo punto perdo il conto degli squali e di quante volte salgo e scendo dal gommone, con Fahran che mi recupera ogni volta come un tonno pronto a finire in scatola. Che fatica, ma che bello! Sono praticamente distrutta, ma immensamente felice. Sembra che ci ascoltino, perché ogni volta che con Monica mi ritrovo a gridare one more! one more! ne spunta ancora uno (o era quello di prima?) e siamo di nuovo in acqua a rincorrere questi bestioni (ma quanti sono?), che sicuramente non vedono l'ora di liberarsi di noi. Non voglio tornare in barca, non voglio andarmene! Ma loro lo sanno, questo non è un addio, ma un arrivederci.

Il giorno seguente, la visita al Lac Assal non ci fa rimpiangere i balena. Durante il viaggio, incontriamo anche diversi animali: babbuini, asinelli selvatici, dromedari, antilopi e a marmotte (o qualcosa di molto simile ad esse). Tra una distesa desertica e l'altra, appaiono e scompaiono via via diversi villaggi. La maggior parte degli abitanti ha un rapporto conflittuale con la macchina fotografica: alcuni sorridono e salutano, altri scappano e, nel caso delle donne, si coprono con i lunghi veli colorati.  Ci fermiamo prima alle sorgenti di acqua calda che si fanno strada in una serie di gole scavate nella roccia di arenaria. I colori, le sfumature e le forme di queste rocce ricordano vagamente i templi di Petra.

Il lago Assal spunta come un miraggio tra le gole montuose che attraversiamo. E' una macchia bianca che si allarga fino a diventare immensa ed a coprire il mare. Eccolo davanti a noi, questo enorme lago salato incastrato in una depressione posta a 153 metri sotto il livello del mare. La vista è accecante ma ci ripaga della fatica e del caldo patiti nel pulmino per arrivare fin qui. Quando si cammina su questa sconfinata distesa immacolata, sembra di fluttuare in una dimensione onirica che ci fa sentire piccoli piccoli.
Ecco che il paesaggio cambia di nuovo. Prima il deserto, poi il mare, ora di nuovo le montagne. Il bianco del lago salato cede il passo al nero della lava solidificata. Così si presenta ai nostri occhi la Rift Valley, un paesaggio lunare che nasconde un che di potente ed ancestrale come la faglia in bella vista che divide la placca africana da quella asiatica (in questo punto, inutile dirlo la foto è di rito). È come se un po' di Islanda si fosse rifugiata in quest’angolo di Corno d’Africa. Non mi sorprende, infatti, che in questi luoghi sia stato girato negli anni Sessanta il film Il pianeta delle scimmie.

È tempo di andare. Stavolta si parte davvero. Il pensiero va al ritorno, al freddo, alla vita che ci aspetta al rientro, alla nostalgia di questa natura potente ed incredibile che già incomincia a farsi strada dentro di noi. Dicono che non c'è viaggio senza ritorno.
Se questo è vero, io non voglio più tornare...

Consuelo Prainito

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