Zabargad, fascinosa e leggendaria, evocatrice di sogni e di mistero, entra nella
storia con Plinio il Vecchio, il primo narratore di luoghi che, nella sua Naturalis
Historia (paragrafo 107) ci racconta di " un'isola che si trova nel Mar Rosso a
trecento stadi dal continente " alla quale i Trogloditi, durante il regno di Tolomeo
II diedero il nome di Topazos. Negli antichi scritti il limite tra leggenda e realtà
è indefinito, è certo però che fin dal 1500 a.c., al tempo dei faraoni della XXVIII
dinastia, furono estratte dal sottosuolo le pietre verdi che sarebbero state confuse
prima con i topazi e in seguito conosciute con il nome di olivine. Queste pietre,
uniche per dimensioni e trasparenza, furono tanto apprezzate nel mondo occidentale
che i sovrani le utilizzarono per impreziosire i loro gioielli.
Zabargad è un'isola di origine tettonica, emersa per la compressione della placca
arabica con quella africana. Questo particolare, noto a pochi, ne fa un esempio
unico e la rende di grandissimo interesse geologico. Situata a sud del Mar Rosso
egiziano al confine con il Sudan, a 38 miglia dal promontorio di Ras Banas, venne
così chiamata dagli Egiziani e ribattezzata Saint John reef dall'ammiragliato britannico.
Attualmente è sotto strettissimo controllo militare e vi si può accedere soltanto
tramite particolari permessi accordati dal governo. Come spesso accade, i posti
più interessanti sono anche i più difficili da raggiungere.
Chi ha voluto visitarla ha dovuto finora superare anche altri ostacoli: la posizione
geografica, la mancanza di strutture adeguate, il clima caldo torrido e le controverse
situazioni politiche.
Capitò anni fa di leggere il resoconto di un gruppo di ricercatori subacquei italiani
che a metà degli anni settanta organizzarono una spedizione a scopo scientifico
trascorrendo un certo periodo sull'isola. I problemi appena accennati li avevano
costretti a rimanervi un tempo inferiore a quello previsto, erano tuttavia riusciti
a dare inizio ad una serie di ricerche nel sottosuolo e a descriverne alcune caratteristiche
uniche nel loro genere oltre che, a raccontare di splendidi fondali nei quali imperversavano
branchi di squali. Furono queste poche righe a far scattare in noi il desiderio
di recarci a Zabargad a qualsiasi costo.
La nostra attività di organizzatori di viaggi in Mar Rosso, ci avrebbe prima o poi
dato l'opportunità di gettare le basi per organizzare delle crociere che avessero
come meta l'isola di cui avevamo sino a quel momento soltanto sentito parlare e
che, come per gli antichi navigatori, sembrava irraggiungibile data la sua collocazione
in mezzo al mare in una zona peraltro molto ventosa.
Agli inizi degli anni '90 il sogno cominciò a materializzarsi, tutto quello che
avevamo costruito sino a quel momento cominciava ad andarci stretto. Fu allora che
iniziammo timidamente ad informarci sulla possibilità di ottenere i permessi
(immagine a fianco) per poter accedere all'isola. Da quel momento cominciò un
via vai continuo attraverso ministeri e uffici di polizia, fino al punto di farci
pensare che, forse, se nessuno era riuscito ad ottenere tali permessi una ragione
ci sarà pur stata. Verso la fine dell'anno, quando ormai l'idea era quasi del tutto
accantonata, arrivò un primo timido segnale positivo. Come d’incanto si riaccesero
le speranze e da allora tutte le energie furono utilizzate per raggiungere tale
scopo.
Il 23 luglio 1990 due piccole imbarcazioni di 15 metri, partirono alla volta di
un molo situato cinquecento chilometri a sud di Hurghada che sarebbe successivamente
diventato il porto di imbarco delle crociere. Una forte eccitazione ha preceduto
la partenza delle due barche. A farci le spese e' stato un giovane agnello sacrificato
come buon auspicio a quanto si sarebbe andati incontro. Ognuno dei componenti era
ben conscio di incominciare un'avventura unica, anche per chi, come buona parte
delle persone che componevano l'equipaggio aveva passato più tempo in mare che sulla
terraferma. L'appuntamento sarebbe stato per il giorno 26 luglio a Ras Qulan, per
iniziare la perlustrazione dei reef situati lungo il tragitto che porta all'isola.
1° GIORNO - Viaggiamo verso sud; il nastro d'asfalto corre veloce
fra un mare azzurro cupo e il deserto oltre il quale si stagliano le alte montagne
che separano la zona costiera dalla valle del Nilo. Incontriamo alcuni villaggi
di beduini e subito mi si affollano nella mente le storie che si narrano su questo
popolo di nomadi senza una patria, arrivati da deserti lontani in cerca di una dimora
che già in partenza sanno che non sarà definitiva e che sono pronti ad abbandonare
appena il cambio delle stagioni lo renderà necessario. Dopo poco più di due ore
di viaggio decidiamo di fermarci per una sosta veloce a Quseir. Le antiche mura
che lo circondano portano i segni di un passato ricco di storia che meriterebbe
una visita più lunga ed una conoscenza più approfondita. Il paese e' uno dei più
grandi sulla costa eppure sembra che qui il tempo si sia fermato, si ha l'impressione
che la gente passeggi per la strada senza una meta apparente; alcune persone si
radunano a gruppi nei bar a fumare il narghilè, bere tè, giocare a domino. Anche
noi sorseggiamo il nostro tè fumante prima di riprendere il cammino verso l’incognito
molo.
Siamo preoccupati per la sorte delle due barche, e' da due giorni che non abbiamo
più notizie, la nostra speranza e' che siano riuscite ad individuare il molo di
Ras
Qulan e non abbiano incontrato difficoltà durante il tragitto. L'auto viaggia veloce
su una strada sgombra, gli incontri sono sporadici, un camion ogni tanto, poche
automobili stracolme di persone. Siamo a metà del tragitto. Per raggiungere il paese
successivo di Marsa Alam, abbiamo dovuto attraversare un numero impressionante di
posti di blocco. Il piccolo paese ha dimensioni modeste; la pompa di benzina presso
la quale ci fermiamo per effettuare il rifornimento funziona ancora a mano con una
manovella; il distributore non e' custodito e del benzinaio neanche l'ombra. Trascorrono
diversi minuti prima di trovarlo comodamente seduto al bar mentre a sorseggiare
l'irrinunciabile tè.
Dopo Marsa Alam, come per magia, il paesaggio muta; la terra del deserto ha cambiato
colore, e' più rossa, meno arida, ed in alcuni punti addirittura molto umida. Notiamo
una maggior presenza di cespugli e palme, addirittura delle piccole oasi. A pochi
chilometri dall'arrivo, ammiriamo attraverso i finestrini uno spettacolo quasi irreale:
circondata dal deserto esce dall'acqua una distesa di mangrovie, sulle quali hanno
nidificato decine di ibis.
Intravediamo in lontananza le barche ormeggiate, la banchina e' situata al termine
di un lungo molo fatto costruire agli inizi del secolo per rifornire di acqua gli
abitanti del luogo e le persone che lavoravano nelle vecchie miniere di fosfati
situate a poca distanza da Ras Qulan (foto sotto) . Non esiste un vero e
proprio paese ma solo poche capanne disseminate qua e la in mezzo al deserto. Veniamo
accolti da un gruppo di bambini che ci guardano con curiosità; da queste parti sono
abituati a vedere passare carovane di cammelli che attraversano il deserto ma mai
sino ad ora una barca aveva raggiunto questo molo disastrato.
Sono le 14,00; molliamo gli ormeggi per dirigerci verso un reef che denomineremo
sha'ab Mafruka posto poche miglia ad est del molo di partenza.
Trascorriamo la notte ancorati all'isola di Syal a poca distanza dal luogo dove
ci siamo immersi. L'acqua e' color turchese e la sabbia e' bianchissima. Cala il
sole e lentamente il mare assume un colore rosso che si mescola con il cielo.
2° GIORNO – Destinazione Abu Galawa, un reef circondato da diverse
torri di madrepore ricoperte da coloratissimi alcionari e visitate da moltissimo
pesce corallino.
Al tramonto si ripete il miracolo del giorno precedente, al calare del sole il cielo
e il mare si fondono in una unica tonalità. Quando il sole e' ormai tramontato da
un pezzo, alzo gli occhi al cielo e quanto mi si presenta alla vista e' uno spettacolo
davvero unico: è una notte senza luna e il cielo brilla della luce delle stelle;
si possono distinguere perfettamente alcune costellazioni e la via lattea e' una
enorme fascia luminosa, siamo sul 38° parallelo, a poche miglia dal Tropico del
Cancro e le notti senza luna da queste parti fanno questo effetto.
3° GIORNO – Siamo diretti è Sataya, denominato anche Dolphin reef,
situato a circa un'ora e trenta da Abu Galawa. Appena entrati all'interno di questo
reef a forma di ferro di cavallo, lungo oltre due miglia, veniamo accolti da un
numeroso branco di delfini, circa una cinquantina che ci accompagnano compiendo
mirabili evoluzioni a prua della barca e non ci lasciano fino a quando raggiungiamo
il capo opposto del reef. Raggiunta la nostra meta, i delfini ci abbandonano per
riportarsi all'interno. Scopriremo poi che questo e' il loro riparo durante la giornata;
al primo calare delle luci, i delfini si dirigono verso il mare aperto in cerca
di cibo, ma qui ritorneranno all' alba del giorno successivo.
Effettuiamo la prima immersione della giornata lungo il costone della parete esterna
al reef. Avvistiamo molto pesce pelagico, branchi di tonni e carangidi e diversi
squali. Le emozioni non mancano proprio!
Nel
pomeriggio ci immergiamo su alcune torri madreporiche, poco distanti dal luogo dove
qualche mese dopo avverrà un ritrovamento da ritenersi unico nella storia di questo
mare. Saranno rinvenute delle anfore romane appartenenti al I sec. A.C.
L'immersione e' semplice in pochi metri d'acqua. Decine di anfore, intatte, adagiate
sul fondo, una di fianco all'altra, nella stessa posizione in cui erano state stivate,
come se sotto di loro fosse ancora presente la nave che le trasportava. (foto
a sinistra) Queste anfore sono la testimonianza che le rotte seguite dai romani
nel Mar Rosso passavano da Zabargad, prima di raggiungere i porti di Berenice o
di Hurghada. Cosa trasportassero, da dove venissero, dove erano dirette? Sono domande
per ora senza risposta, e probabilmente lo rimarranno per sempre.
4° GIORNO – E' il reef di sha'ab Maksur il luogo dove ci immergeremo
oggi, ci e' stato indicato da alcuni pescatori con i quali abbiamo passato la notte
ormeggiati sul medesimo reef.
Anche qui, come per Dolphin reef, si tratta di una parete verticale che si perde
nel blu, un branco di tonni ci tiene compagnia per quasi tutto il tempo dell'immersione.
La seconda immersione la effettuiamo a sha'ab Said così chiamato in onore del suo
scopritore, un incantevole reef in pochi metri d'acqua, caratterizzato dalla presenza
di molto pesce corallino e da alcune spaccature nella roccia attraverso le quali
filtrano i raggi del sole. La giornata sta per concludersi ed i nostri pensieri
sono già rivolti a domani. Direzione Zabargad.
5° GIORNO – All'alba si accendono i motori della barca; molliamo gli
ormeggi e immancabili i delfini ci accompagnano fino alla porta di uscita, per deliziarci
con l'ultimo saluto. Il trasferimento sarà
piuttosto lungo e nella notte si e' alzato un fastidioso vento da sud.
Il tempo che ci separava dall'isola e' trascorso più velocemente del previsto; in
lontananza si intravede la sagoma dell’isola. La parte Nord-Ovest, quella su cui
e' situato il molo, e' completamente circondata da un reef formato da pilastri madreporici
e distanziati tra loro sott'acqua ma perfettamente uniti in superficie, in modo
da non permettere l'accesso se non a piccole imbarcazioni. (foto a destra)
Zabargad! Ha una forma molto particolare, e' composta da un monte centrale ai lati
del quale si innalzano altri rilievi. Poco distante dal lungo e malconcio pontile
si trova una vecchia costruzione diroccata, testimone del periodo in cui erano in
funzione le cave per l'estrazione delle olivine. Ci incamminiamo in compagnia di
Hamam, il comandante della barca, verso la montagna centrale, denominata peridot
hill, sulla cui sponda orientale sono stati rinvenuti i migliori crisoliti. Alcune
entrate delle miniere (foto sotto a sinistra) sono franate, mentre altre
sono perfettamente intatte; dentro di queste il caldo e' intollerabile.
Rientriamo verso la spiaggia dalla quale siamo arrivati, per incamminarci seguendo
il versante Nord-Est.
Sparse sul bagno asciuga le testimonianze che il mare offre quotidianamente, bottiglie
e scatole di ogni forma e dimensione, caschi provenienti da chissà quali piattaforme
petrolifere; insomma, un po' di tutto. Ci divertiamo ad immaginarne la provenienza.
Notiamo all'interno di una piccola baia una scialuppa di salvataggio adagiata sulla
spiaggia, (foto sotto a destra) poco oltre un'altra.
Quest'isola si fa sempre più enigmatica. Chissà a quale imbarcazione appartenevano
e quando e' avvenuto il naufragio. Gli scafi, di costruzione recente, fanno pensare
che non siano li da molto tempo. Sulla stessa direttiva delle due scialuppe, guardando
verso il mare, notiamo una protuberanza metallica uscire dall'acqua, potrebbe trattarsi
dell'albero della nave affondata. Purtroppo non c'e' il tempo per organizzare un'immersione
e poi in quel punto il vento batte impetuoso; possiamo solo sperare che domani le
condizioni atmosferiche migliorino.
Attraversiamo l'isola portandoci sul versante Sud-Est. Quello che si presenta ai
nostri occhi e' l'ennesimo miracolo. Una lunghissima spiaggia (foto in basso
a sinistra) dalla sabbia bianchissima inserita all'interno di una laguna dall'acqua
di una sorprendente trasparenza color smeraldo formatasi grazie alla barriera corallina
che circonda completamente l'isola che crea in alcuni punti delle vere e proprie
piscine. Da questo punto in avanti l'isola assume un aspetto meno aspro, più dolce.
Del tutto indifferenti alla presenza umana, alcuni falchi pescatori intenti a prendersi
cura dei loro piccoli, hanno nidificato sulla spiaggia, i nidi, con altezza e circonferenza
di oltre un metro, sono una vera opera architettonica. (foto in basso a destra)
Sulla terra lunghe tracce segnate dalle tartarughe terminano in corrispondenza di
grosse buche dentro le quali sono state deposte decine di uova che il caldo del
sole farà schiudere; le piccole tartarughe presto compiranno a ritroso verso il
mare, il cammino delle loro mamme. (foto in basso a destra)
A poca distanza tre piccole costruzioni di sassi a forma circolare. Una di queste
contiene al suo interno una tomba delimitata con un perimetro rettangolare. Si suppone
che fossero il rifugio di pescatori, i quali durante il periodo della riproduzione
delle tartarughe compivano vere e proprie stragi, testimoniate da grossi cumuli
di ossa presenti sulla spiaggia.
La giornata volge ormai al termine, il sole cala dietro la montagna e dipinge il
cielo del colore del fuoco.
Il tramonto e' un momento magico, seduti sulla spiaggia ci godiamo lo spettacolo
in un silenzio religioso, carico di pensieri e riflessioni. Abbiamo sognato per
molto tempo questa isola, e adesso che l'abbiamo raggiunta, girata in lungo e in
largo, toccato con mano i resti della sua storia, siamo più che mai convinti che
la mitica Topazos descritta da Plinio il Vecchio, continua a vivere. La sua storia
attuale e' fatta di naufragi, di tartarughe e aquile, di lunghissimi tramonti infuocati
e di cieli stellati. Ormai La montagna e' solo un profilo nero che si staglia su
un cielo sempre più scuro.
6° GIORNO – Come d' incanto, durante la notte il vento e' calato del
tutto. Puntiamo la prua diretti verso Rocky, una minuscola isola, situata tre miglia
a Sud-Est di Zabargad. Le sue pareti scendono a strapiombo per diverse centinaia
di metri; l'immersione deve essere effettuata con molta attenzione. Ad attenderci
sotto la barca un branco di barracuda che ci scrutano immobili e seguono con calma
ogni nostro spostamento, le pareti sono ricoperte di alcionari e lunghissime fruste
di corallo nero; la visibilità e' eccezionale e ciò può trarre in inganno. Siamo
costantemente tenuti d'occhio da diversi squali che si alternano nel seguirci, ma
l'incontro più emozionante deve ancora avvenire: ci ritroviamo in mezzo ad un branco
di squali martello; a Rocky durante un'immersione, si può veramente incontrare di
tutto.
Decidiamo di visitare l'isola in attesa di rituffarci in acqua; pullula di uccelli
che hanno deposto le loro uova ovunque; bisogna fare attenzione a dove si mettono
i piedi se si vuole evitare di fare ad ogni passo una frittata. Sediamo su un sasso
ad osservare, ammirati, quest'angolo incontaminato mentre Hamam ci spiega che gli
uccelli si ritrovano qui due volte all'anno per deporre le uova e vi si fermano
una quindicina di giorni, fino a quando queste si saranno schiuse.
La seconda immersione, come ci eravamo ripromessi, la effettueremo alla ricerca
di quello che si nasconde sotto il pennone affiorante avvistato ieri. La barca ormeggia
all'interno del reef nello stesso punto in cui abbiamo pernottato. Ci portiamo sul
luogo utilizzando il tender; arrivati nelle prossimità, notiamo sul fondo la classica
sagoma della nave. (foto in basso a sinistra)
E' un momento di grossa emozione; siamo i primi ad immergerci su questo relitto.
La supposizione si rivela esatta quando ci rendiamo conto che ogni cosa all'interno
dello scafo e'ancora al suo posto. Un'enorme falla a poppa conferma che l'imbarcazione
e' andata ad urtare violentemente contro il reef, probabilmente a causa delle avverse
condizioni atmosferiche, notiamo subito che gli argani su cui prendevano posto le
scialuppe sono vuoti; e' chiaro che al momento dell'incidente queste sono state
calate in acqua per poi andare ad arenarsi sull'isola. Appena il tempo di trovare
il tavolo da carteggio all'interno del quale sono ancora presenti tutti i compassi,
poi una visitina alla sala di comando dove è in bella evidenza la radio di bordo
e il computer ci avverte che è giunto il momento di risalire. Una ultima occhiata
alla nave, si tratta di un cargo lungo circa settanta metri, affondato con ogni
probabilità non più di una trentina di anni fa. Questa sarà l'ultima notte che passeremo
ancorati a Zabargad; domani all'alba ci porteremo lentamente ma inesorabilmente
verso il porto di Ras Qulan. Tra tre giorni arriverà il nostro primo gruppo di subacquei
e tutto dovrà funzionare alla perfezione; come se operassimo in questo posto da
sempre.
7° GIORNO – Sono da poco passate le sei quando sentiamo la barca mettersi
in moto e puntare in direzione Nord-Ovest verso l'isola di Sirnaka, situata a circa
quattro ore da Zabargad. La traversata è tranquilla, si è alzata una leggera brezza
e questo può solo che fare piacere. Effettuiamo la prima immersione a sha'ab Shahta,
un piccolo reef poco lontano da Sirnaka, intorno a questo panettone ricoperto di
alcionari vive una quantità impressionante di pesce: decine di carangidi stanziali
si accostano a noi senza il minimo timore; una moltitudine di barracuda immobili
si lasciano avvicinare e fotografare, una tartaruga adagiata sul fondo si lascia
accarezzare prima di allontanarsi lentamente. Navighiamo a tutta velocità verso
Abu Galawa per effettuare l'ultima immersione sul relitto di un rimorchiatore inglese
adagiato in pochi metri. La prua della nave affiora fuori dall'acqua, mentre la
poppa si trova a diciassette metri di profondità, anche questa, come tutte le immersioni
su un relitto risulta molto interessante soprattutto di notte.
"L'isola che si trova nel mar Rosso a trecento stadi dal continente", non è più
un sogno; ma una realtà che va salvaguardata per tutto quello che ci ha dato e per
quanto ancora nasconde.
Topazos o Zabargad sono in fondo soltanto i nomi che le sono stati dati nei secoli,
certo è che anche noi come i vecchi narratori siamo stati rapiti dall'incanto questa
isola misteriosa.
L'OLIVINA
L'olivina (foto a destra), denominata anche crisolito, è una pietra trasparente di colore verde-giallognolo, in varie tonalità sino al verde-oliva. La sua colorazione è dovuta alla quantità di neosilicato di magnesio e di ferro presente, infatti, si hanno colorazioni più intense con l'aumentare di tale elemento contenuto. I crisoliti di Zabargad non hanno paragoni per lucentezza e trasparenza con nessun altro al mondo, in quanto sono gli unici a non avere subito nessun tipo di contaminazione durante il lento processo di sollevamento e raffreddamento dell' isola dalle profondità marine.