E’ già buio quando il Boeing della Saudi Arabian Airlines inizia la manovra di avvicinamento verso Jeddah, principale porta d’ingresso del pellegrinaggio verso la Mecca. Siamo in Arabia Saudita, un paese affascinante e difficile da descrivere, dove le tradizioni e le usanze locali si faticano a comprendere in quanto inevitabilmente condizionati dal nostro bagaglio socio-culturale di cittadini occidentali. L’integralismo islamico qui ha radici profonde e il turismo, poco sentito, soltanto da pochi anni ha fatto la sua comparsa. Eppure la contraddizione fra tradizionalismo e modernizzazione si percepisce ovunque. Basta addentrasi nel cuore della città vecchia di Jeddah dove si respira un’atmosfera d’altri tempi. Le mille viuzze che si intersecano sono adornate da magnifiche abitazioni, costruite sotto la dominazione ottomana, e abbellite dalle “mushrabiyah”, bellissime facciate dei terrazzi eseguite con splendidi intagli del legno tek. Puntualmente, a intervalli regolari di tempo, la voce dei muezzin richiama i fedeli alla preghiera e come d’incanto le saracinesche delle botteghe si chiudono, incuranti dei clienti che attendono pazientemente la loro riapertura.
Fuori dalle antiche mura, Jeddah si trasforma in una moderna metropoli ricca di splendidi palazzi e numerose sculture presenti ad ogni incrocio, con negozi e centri commerciali che nulla hanno da invidiare a quelli di tante città occidentali, allineati lungo la “Corniche”, un’arteria stradale lunga 100 km che si snoda lungo la fascia costiera.
Una metamorfosi causata da uno sviluppo economico senza precedenti, grazie soprattutto al petrolio di cui l’Arabia Saudita rappresenta il maggior produttore a livello mondiale. La città conta oggi oltre 2.500.000 di abitanti con un flusso enorme di fedeli che ogni anno si servono delle sue strutture portali e aeroportuali durante la stagione di pellegrinaggio verso i territori santi.
Fortunatamente, le formalità doganali sono abbastanza snelle, così come abbiamo potuto constatare al nostro arrivo al terminal aeroportuale di Jeddah, da cui usciamo un pò provati per la stanchezza. Colti da una folata di caldo-umido, saliamo velocemente sul pullman per compiere l’ultima fatica, 4 ore di strada per arrivare finalmente a Yanbu, un piccolo paese rimasto tale fino a metà degli anni 70 e divenuto, in pochi decenni, una delle due aree petrolchimiche più importanti di tutta l’Arabia. Durante il tragitto, osservo con crescente scetticismo le interminabili file di ciminiere dalle quali densi fumi si alzano verso il cielo, domandandomi se la scelta di questa destinazione sia stata davvero opportuna. Pensieri fugaci e prontamente rimossi, appena giunti alla banchina della marina dove Miss Veena, la nostra bella imbarcazione e fedele compagna di viaggio, ci attende splendidamente illuminata.
Dopo la scelta delle cabine, sistemati i bagagli e riposta l’attrezzatura nelle apposite cassette tutti si defilano in coperta per un meritato riposo, in attesa di prendere finalmente il largo alla scoperta di un Mar Rosso meno conosciuto, fuori dai tradizionali circuiti turistici e che promette tante emozioni.
Navighiamo per cinque giorni praticamente in completa solitudine, circondati da un mare sconfinato e un cielo di cobalto. I reef corallini sono contrassegnati dai “Markers”, tralicci di ferro numerati, alcuni dei quali identificano siti d’immersione assolutamente spettacolari. In condizioni ottimali, si assiste ad una elevata concentrazione di pelagico, compresi gli squali martello che in queste zone sono numerosi. Per non parlare dei caroselli di carangidi e barracuda oltre, ovviamente, alla frenetica attività dei pesci di barriera.
Luglio, purtroppo, non è il mese giusto. Siamo in piena estate e il caldo si fa davvero sentire, per non parlare della temperatura dell’acqua che in alcuni casi supera i 30°. La totale assenza di corrente fa poi il resto, spingendo la fauna più interessante a quote proibitive e inarrivabili. Abbiamo comunque di che appagarci, perché queste barriere sono un’esplosione di colori e di varietà di forme difficili da descrivere. Alcionari multicolori ovunque dagli infiniti cromatismi, gorgonie gigantesche anche a quote modeste, che farebbero gioire il più esigente dei fotosub, pareti strapiombanti nell’inchiostro degli abissi da cui ogni sorpresa è sempre possibile, anfratti e grottarelle superficiali dove ampie traforature creano abbaglianti giochi di luce che illuminano una frenetica vita di barriera. Di norma la prima immersione si effettua nel reef di Gotha el Sharm, dove madre natura ha compiuto con i coralli vere opere d’arte, vista l’abbondanza di forme e colori riscontrabile. Si prosegue verso Sha’ab Gurush e poi più a nord fino al comprensorio di Sha’ab Shu’ayabah, da cui si raggiungono punti di immersioni spettacolari contrassegnati dai Marker 3, Marker 7 e sha’ab Baatan, con pareti strapiombanti rivestite da enormi gorgonie e colorati alcionari, fondali mozzafiato che meritano sempre attenzione per le sorprese che possono riservare. Come è accaduto, infatti, il secondo giorno quando, in risalita da un’immersione pomeridiana poco interessante, a pochi metri dalla superficie e in circostanze inspiegabili sono stato attorniato da una moltitudine di pesci: dentici, carangidi, barracuda, pesci chirurgo, splendide ombrine maculate, pesci pappagallo, cernie, e altro mi nuotavano intorno nervosamente, come in preda a un’eccitazione collettiva e senza un’apparente motivazione. Non meno emozionante l’incontro del giorno dopo con una simpatica tartaruga, sbucata per incanto dal blu. Ci ha accompagnato per tutta l’immersione, lasciandosi accarezzare e giocando ininterrottamente con le nostre bolle, fermandosi ogni tanto per un breve spuntino con qualche boccone di alcionaria o per curiosare sull’oblò della mia custodia, forse attratta dalla sua immagine riflessa.
Conclusa questa prima tappa, si prosegue verso il comprensorio dei Seven reef, che raggiungiamo dopo 6 ore di navigazione notturna. Sha’ab Suflani, Abu Galawa, Mansi Kebi, Sha’ab Al Gurush sono solo alcune perle di questo articolato complesso di reef corallini, tutti accomunati dalla spettacolarità dei fondali con pareti che precipitano vertiginosamente negli abissi. E’ il regno incontrastato delle madrepore, con estese aggregazioni coralline dalle forme più bizzarre, degli alcionari multicolori e delle grandi gorgonie a ventaglio, così fitte e impenetrabili da formare vere e proprie foreste.
A questo scenario, cha già da solo vale un viaggio, fanno da cornice i grandi predatori del mare con squali grigi e martello in primo piano, difficilmente avvistabili nel periodo estivo, quando la temperatura eccessiva li costringe a stazionare in acque ben più fresche e profonde. Una delusione apparente la loro mancanza, annullata dal piacere di navigare in uno spazio senza fine, fatto di cielo, mare e una quiete infinita e rigenerante. Fondali incontaminati, dove l’acqua è così trasparente da falsare le distanze e dove ogni minima forma di vita è un bene preziosissimo da preservare.
Fra le tante cose da vedere c’è anche il relitto semiaffiorante dell'Argonautis, un cargo greco adagiato sul cappello di un reef, segno evidente di una manovra sciagurata o dell’implacabile forza del mare che ha imposto la sua legge. Le strutture, totalmente arrugginite, permettono comunque di addentrarsi all’interno. Nella sala di comando troviamo libri e registri di bordo aperti, quasi l’immagine di un evento bruscamente interrotto. C’è il tempo sufficiente per qualche foto, ma il tramonto a queste latitudini è piuttosto veloce e obbliga a uscire in fretta. Fuori è un incanto, con il sole coricato all’orizzonte che riflette i suoi raggi fra le imponenti strutture metalliche, mentre piccoli arcobaleni si materializzano fra gli spruzzi dei frangenti.
La vacanza volge al termine e il Miss Veena punta dritta verso Yanbu,
con la prua che irrompe fra le onde imponenti. Salgo sul ponte superiore
per assaporare queste ultime ore di completa solitudine, in balia della
natura, a godermi l’aria pulita e salmastra e l’odore meraviglioso del
mare. Dopo cena ci ritroviamo tutti insieme ad ammirare lo spettacolo
del cielo d’Arabia, un caleidoscopio di stelle così brillanti e luminose
da rischiarare la superficie del mare nera come la pece e,
ripercorrendo le giornate appena trascorse, nasce la promessa di tornare
in questa terra magica per una nuova avventura, alla scoperta dei
Farasan Banks.
Renato La Grassa
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