Milano 19-09-‘09
Questa mattina ho visto la nebbia.
Torna ogni anno, puntuale, per inondare la nostra pianura e offuscare le nostre
notti.
Proprio oggi ha bussato alla porta mentre io preparavo le ultime cose. Zaino in
spalla e borsa con tutta l’attrezzatura pronta nel bagagliaio. Mi pare quasi di
prenderla in giro la nebbia…io vado in Sudan… ci vediamo al mio ritorno, avrai tutto
l’inverno per ricordarmi che sei tu, qui, la padrona. Ma io, ora, parto per il Sudan.
Il Cairo 20-09-‘09
Quasi dimenticavo che sono in Africa. Il nostro volo per Port Sudan di ieri dall’Egitto
è stato cancellato perché è finito il mese del Ramadan e sembra che il nostro aereo
sia stato “preso in prestito” per portare i mussulmani a La Mecca. Ma in realtà
non si sa. Nulla si sa per certo in Africa. Oggi ci sono, sono al Cairo ma domani…domani
chissà. Qui nessuno si preoccupa dell’imminente, con l’idea che, tutto sommato,
riusciamo a cavarcela.
E ora mi sto perdendo tra le urla in arabo dei bimbi che corrono agghindati a festa.
Le mamme, sorridenti, mostrano vanitose le poche loro parti del corpo scoperte tutte
decorate con intricati disegni, quasi rappresentazione della loro criptica lingua.
Il profilo della città polverosa, colpita dagli ultimi raggi inghiottiti dall’orizzonte,
ripaga di tutto.
Da lontano Il Cairo sembra un infinito termitaio abbandonato nel deserto…ma basta
fare due passi in avanti per rimanere storditi dai suoni, dalla musica, dal traffico,
dagli odori dolci, acri o fumosi che invadono le narici contemporaneamente. Il Cairo
è proprio la città dei “due passi in avanti” infatti è sufficiente riuscire a guardare
oltre la facciata di copertina, oltre l’apparente formalismo creato per quei turisti
americani avventurieri, per capire che si è in Africa. Ed è incredibilmente affascinante.
Tutti contrattano, molti mi strattonano per attirare la mia attenzione sperando
di fare affari ma mostrando, comunque, un’estenuante e disarmante ospitalità.
Ora è atterrato davanti ai nostri occhi l’aereo che dovrebbe portarci a Port Sudan…ma
chissà…in Africa nulla si sa per certo. Oggi ci sono, sono al Cairo, ma domani…domani
chissà. In s’Allah.
Il nostro arrivo in porto, nonostante il sole ci abbia abbandonato già da un pezzo,
è accolto da un brulicare di gente in fibrillazione che pare radunata sul molo ad
ammirare lo spettacolo. Non vedo donne…solo uomini avvolti in lunghe tuniche bianche
che sembrano muoversi da sole nell’ormai oscurità. Saliamo sul gommone e poi sulla
barca…l’avventura ha finalmente inizio!
Si salpa, direzione nord, salutando questa terra tormentata alle nostre spalle.
Sudan 21-09-‘09
Tutto è pronto, l’emozione è palpabile…siamo elettrizzati…
SHA’AB SUADI
Relitto Blue Bell Affondato nel ’77 questo
relitto giace placido sulla parete della barriera corallina ma sembra farne parte
da sempre.
I coralli hanno ricoperto tutte le superfici e lo scafo capovolto ospita centinaia
di pesci e di tane. Le murene fanno capolino curiose e un barracuda si avvicina
senza timori. Un pesce palla mascherato, invece, preferisce stare solo e schiscio
sul fondo sabbioso.
Poi compaiono, avvolte da un turbinio di castagnole, 2 automobili degli anni’70
quasi mimetizzate in quell’arcobaleno frizzante.
QUITA’ EL BANNA Alla nostra sinistra il
reef, alla destra, invece, il blu. Quel blu profondo senza inizio, senza fine e
senza punti cardinali che è lì e sembra che solo i carangidi ne conoscano tutte
le sue strade.
La corrente è abbastanza forte e noi cerchiamo di rimanere compatti vicino alla
parete.
Un velo di seta pare ricoprire i coralli ma, poi, da vicino, ciascun punto risulta
essere un pesce colorato che tesse una trama tutta propria e unica.
Si scopre una spaccatura nel reef e dentro, come da un camino, filtrano i raggi
del sole bollente dell’Africa che illuminano grossi anemoni dentro le quali i pesci
pagliaccio giocano a nascondino.
Un pesce scorpione troneggia in un anfratto un po’ infastidito e noi risaliamo in
superficie estasiati.
Mi sfilo la muta sulla barca e decido di andare a prua per godermi le onde che si
infrangono sulla chiglia che, ancora una volta, punta verso nord.
Mi mancava l’orizzonte, la linea pulita che separa il cielo dal mare…così rara in
città.
Da quel fitto blu spuntano i delfini che cominciano a saltare e a giocare, accompagnandoci
nel nostro tragitto. Rimango lì, ferma, incantata… non riesco a stancarmi di tutto
questo e così resto lì a lungo a prua mentre il sole invece inizia a stancarsi e
a calare alla nostra sinistra, dietro ai monti lontani del Sudan.
Sudan 22-09-‘09
La Sherazade si sta spostando: direzione Angarosh. Mi sveglio.
ANGAROSH Non ho mai fatto un’immersione
tanto bella. E’ vero, non abbiamo visto gli squali ma è stato sensazionale… la varietà
di pesci è infinita e il giardino di coralli è da lasciare a bocca aperta.
Le parole certo non rendono giustizia ai colori: l’azzurro dei pappagallo, il giallo
dei butterfly, l’arancio dei pesci pagliaccio che fanno piroette tra gli anemoni
che ricoprono una grande spaccatura nel reef.
Una tartaruga si avvicina nuotando beata con una dolcezza inconfondibile ma poi
accelera come per togliere rapidamente il disturbo.
Giacomo ci propone di andare a nuoto sull’ “isolotto” che costituisce la parte emersa
della barriera e io colgo la palla al balzo. Che spettacolo…i nostri piedi poggiano
su una distesa di rami di coralli, cipree e centinaia di altri tipi di conchiglie.
Un falchetto di mare pesca un bel pesce e lo tiene stretto tra gli artigli delle
zampe per poi consumare il suo pranzo appollaiato al sole.
MERLO Sgonfio il gav, compenso e scendo…non
appena di dissolvono le bolle capisco che forse questa immersione le batterà tutte.
Mi perdo in quel tripudio di bellezza.
Seguo prima Sergio che mi indica sulla sabbia del fondo la tana di un gobide che
vive in simbiosi con un granchietto in un gioco di ruoli molto ben studiato. Vedo
Giacomo e lo affianco in esplorazione degli anfratti e grotte che spaccano la parete
rendendola irregolare come un merletto.
I raggi del sole si insinuano creando un alternarsi di luci ed ombre incantanti.
Una pastinaca a macchie blu mi distrae con il suo tentativo di nascondersi sotto
la sabbia.
Giacomo gioca con una pesce scorpione muovendo le mani attorno a lui come in un
duello d’onore senza armi dove qualsiasi movimento eccessivo potrebbe essere fatale.
Sudan 23-09-‘09
Mi sveglio con il rumore delle onde del mare interrotto dalla voce di Sergio: “buongiorno!”.
La scorsa notte ho dormito con la porta della cabina aperta verso l’orizzonte dopo
aver contemplato il manto stellato del Sudan.
Questa mattina la prima immersione è alle 7 perché poi ci aspetta una lunga navigazione.
MERLO Ci immergiamo e, prima di raggiungere
il pianoro, ci imbattiamo in 6-7 mastodontici pesci pappagallo buffalo ed i loro
buffi becchi con i quali sgranocchiano il corallo. Siamo abbastanza profondi, quindi
risaliamo lentamente dirigendoci verso un pinnacolo, punto forte di questo sito.
Ancora una volta la varietà di pesci, coralli, anemoni è infinita e ci lascia a
bocca aperta. Nuoto con il volto rivolto verso l’alto per notare come il sole risalti
le sagome e i colori…
Il pinnacolo sembra un obelisco che sale dal blu verso il cielo, baciato dalla luce,
che crea un’atmosfera surreale. Mi perdo nel contemplare le grandi e minuscole meraviglie
che si muovono tra i coralli in un concerto di armonia perfetta.
SHA’AB RUMI Già dal breefing, vedendo gli
occhi di Giacomo brillare mentre ci spiega il percorso, capisco che questa dev’essere
un’immersione speciale.
Ci tuffiamo dal gommone e iniziamo a scendere. A 20 metri circa percepisco un’atmosfera
concitata tra i miei compagni, mi guardo attorno e vedo comparire tre squali grigi
che a turno si avvicinano a noi. Sbircio i volti degli altri e gli occhi sgranati
dall’adrenalina, nonostante i predatori non abbiano un’aria così minacciosa ma solo
un po’ indispettita.
Proseguiamo su un pianoro di inequiparabile ricchezza tra coralli duri, molli, anemoni
e pesci di tutti i tipi.
Giacomo attira la mia attenzione verso un grosso branco di barracuda quasi immobile,
compatto e geometrico sopra di noi e, un po’ più in profondità, un mastodontico
napoleone che pinneggia contro corrente.
Un pesce scatola si muove goffo tra le madrepore…sicuramente ci sarà un motivo biologico
ed evolutivo, caso e necessità, che possano giustificare la sua insolita forma squadrata.
Avanzando ci portiamo verso la parete per concludere l’immersione con lo sguardo
sul reef… non ci posso credere che sia già finita.
Sudan 24-09-‘09
Le onde del mare che si infrangono sul reef mi svegliano presto questa mattina e
io mi siedo sulla ringhiera della barca per assaporare il vero silenzio…quello che
dilata il tempo, lo spazio e svuota la mente. Il sole sorge.
SHA’AB RUMI SOUTH PLATEAU C’è da perderci
la testa in questo pezzetto di mare. Se passassi mille volte nello stesso punto
non lo riconoscerei perché tutto è in movimento, tutto muta e anche i colori assumono
sfumature differenti a seconda della corrente e dell’inclinazione dei raggi del
sole.
E’ presto e il mondo sommerso si è appena risvegliato. Ci godiamo i pesci scorpione
e gli anemoni capelluti con i pesci pagliaccio che si muovono indaffarati.
Risaliamo in superficie: una calda brezza ha spazzato via la foschia dell’alba lasciando
spazio ad un cielo purissimo.
A prua si può ammirare l’intero reef che, se dall’alto avrebbe la forma di un cucchiaio,
da qui, invece, appare come una stria turchese nel bel mezzo del blu con chiazze
più scure dove le onde spumeggiano.
Stringo la mano ad Ilaria, ci tappiamo il naso e saltiamo in acqua, cercando di
imitare il tuffo piroettato di Mohammed dalla prua…
La Sherazade ormai punta verso Port Sudan ed io, assieme a lei, solco il mare accoccolata
come un cormorano sulla prua.
Sotto di me iniziano a saltare e a giocare i delfini, in una gara di velocità, cercano
di anticipare lo spostamento della chiglia della barca e si divertono tra le onde.
Compare, ancora lontano, il faro di Sanganeb che domina l’atollo sul quale fu costruito
dagli inglesi alla fine dell’800 e che, da allora, guida nella notte i naviganti
come un attento guardiano delle acque.
SANGANEB SOUTH Eccoci di nuovo circondati
dal blu. Scendiamo verso un plateau incredibile anche perché particolarmente ricco
di corallo nero, riparo prediletto dai pesci falco, buffi pesciolini dal muso allungato
e con uno strano disegno geometrico a griglia sul corpo.
Per poter raggiungere la parete dobbiamo attraversare una lingua di sabbia , la
“valle della morte” , chiamata così perché qui fanno nido i pesci balestra, molto
territoriali, che ti aggrediscono qualora uno superi il confine virtuale attorno
ad un cono scavato nella sabbia dove solitamente depositano le uova. La Death Valley
è completamente disseminata di depressioni scavate nella sabbia ma, per fortuna,
questo non è il periodo dell’accoppiamento.
In compenso ci ritroviamo nel bel mezzo di un grosso branco di barracuda argentati
che appaiono del tutto incuranti della nostra presenza.
Riusciamo ad arrivare alla parete, avvolti da centinaia e centinaia di fucilieri
blu elettrico che si muovono precisi e ordinati seguendo un flusso ben preciso.
Il mondo marino si sta lentamente addormentando e con esso il sole, lasciando spazio
al crepuscolo.
La vita a bordo mi piace sempre di più; i ragazzi sono fantastici, il cibo è stupendo
e si respira sempre aria di avventura.
Sudan 25-09-‘09
5:30 am. Suona la sveglia. E’ ancora buio e devo veramente farmi violenza per alzarmi.
Sarà una giornata molto intensa…il programma prevede di essere pronti sul gommone
per le 6:15am.
SANGANEB NORD Eccoci in acqua…il corallo
è a soli tre metri dalla superficie. Iniziamo a pinneggiare verso la punta del pianoro
che protrude nel blu.
I colori sono lievi e delicati come in un acquerello di un’alba fresca. Ci avviciniamo
al ciglio del reef ricoperto da madrepore uva e le sorvoliamo per sprofondare nel
blu. Il plancton ancora luccica e pare la via Lattea sospesa nel nulla.
Tocchiamo una massima profondità di 30 metri per poi terminare l’immersione su un
giardino di coralli ricchissimo di conchiglie, con cipree che sono opere d’arte.
Colazione abbondante (come sempre d’altronde), ci copriamo con pareo e maglietta
e io indosso i sandali…è così strano portare di nuovo le scarpe dopo giorni interi
a piedi nudi. Mi sento quasi “stretta” nei vestiti da civile ma è necessario per
visitare il faro.
Il gommone ci lascia al pontile, circondato dal turchese … un vero paradiso terreste
isolato da tutti e da tutto.
Nonostante l’iniziale riluttanza per il gran numero di gradini, alla fine tutti
assieme ci arrampichiamo su per la lunga scala a chiocciola fino alla luce del faro
che, dall’alto, indica la giusta rotta alle navi. Che spettacolo… mozzafiato… la
voglia di planare è forte.
Sherazade molla nuovamente gli
ormeggi questa volta alla volta della ultima nostra tappa tanto attesa.
UMBRIA ESTERNA Questa nave e la sua storia
sono tra le più famose al mondo. Il relitto posa dal 1940, inclinato di circa 60°
rispetto al fondo, su un reef che si trova a circa 30 minuti di navigazione di Port
Sudan.
Mi immergo e non vedo nulla se non il blu… mi giro ed ecco la poppa maestosa, imponente
davanti a noi.
Siamo elettrizzati e la curiosità è palpitante: Sergio ci ha raccontato tanto sull’Umbria
e ad ogni sua parola cresceva la voglia di vederla con i nostri occhi.
“Passeggiamo” sul ponte della nave rimbalzando tra le meraviglie di corallo abbarbicate
sul ferro e l’immagine, solo immaginaria, di un passato glorioso. Anche il presente,
però, rende giustizia.
Entriamo nella cabina di comando dove, un tempo, ci sarebbe stato il timone e le
linee oblique mi disorientano per un attimo.
La possente catena dell’ancora è lì tesa ma coperta da un groviglio di madrepore.
Una nube di pesci argentati ci circonda e disegna vortici svelti attorno a noi.
L’atmosfera è surreale.
L’Umbria sembra ancora viva…ma diversamente viva perché ora è il mare, non il motore,
il suo cuore pulsante.
UMBRIA INTERNA Una conclusione trionfale
per questi cinque giorni.
Sgonfio il gav e scendo lentamente.
L’acqua è un po’ torbida per la poca corrente ma non abbastanza da nascondere l’enorme
elica dell’Umbria…lo spettacolo è impressionante soprattutto nella prospettiva che
sia solo l’inizio.
Seguiamo ubbidienti Giacomo, in fila indiana, ci infiliamo in un’apertura per entrare
nella sala macchine che è ancora molto ben conservata.
Proseguiamo per diversi passaggi angusti verso un corridoio… con la torcia illumino,
sulla destra, quelle che erano le cabine e i bagni dei passeggeri fino a quando,
pinneggiando con cautela per non sollevare il sedimento, entriamo in un ampio ambiente:
il bar della nave.
Non so se sia maggiore l’emozione creata dall’atmosfera o quella nel vedere oggetti
che noi useremmo normalmente e che ormai fanno parte del mare.
La cucina si presenta con tanto di pentole, utensili e fornelli e nella sala adiacente
troviamo un’impastatrice e il forno per il pane, preso in affitto da una famiglia
di gamberetti!
Ormai ho perso l’orientamento… ci muoviamo con cautela come in un labirinto serpeggiando
dentro e fuori l’Umbria per coprire tutti i settori da prua a poppa.
Scivolo giù per quella che forse doveva essere una botola cercando di non impigliarmi
tra i cavi dell’elettricità, quindi vedo Giacomo con in mano una lampadina perfettamente
intatta. Molla la presa e questa fluttua verso l’alto, verso il soffitto, unendosi
alle altre e riprendendo il suo posto nel “lampadario”del relitto.
Qualche altra pinneggiata e ci troviamo davanti ad una piramide di bombe…centinaia
ordinatamente impilate. Inquietanti seppure assolutamente innocue.
Mi sento quasi ubriaca come quando cerco di memorizzare troppe immagini o come quando
sono travolta da troppe emozioni…
Passiamo nell’ultimo compartimento dove troviamo 3 perfette FIAT 1100, con anche
i vetri intatti e probabilmente sprofondate in mare quando ancora erano nuove di
pacca.
E’ tempo di riemergere e ho già la malinconia…mi guardo attorno avida di qualche
ultimo scorcio meraviglioso di questo mondo incredibile.
Ancora a prua per gli ultimi attimi di orizzonte oramai soffocato dai primi segni
della città. Ci stiamo avvicinando a Port Sudan.
So che dovrei andare a cambiarmi, non posso restare in costume, ma cerco di strappare
ancora qualche secondo di mare aperto al tempo.
E’ ancora chiaro quando ormeggiamo vicino alla banchina del porto. I nostri spettatori
non sembrano essersi spostati dalla partenza e si accalcano curiosi come se non
avessero mai visto la Sherazade che, invece, torna puntuale nello stesso posto ogni
settimana.
Noi li scrutiamo forse con la stessa curiosità e l’impressione è molto differente
rispetto a qualche giorno prima; bambini e donne avvolte in stoffe sgargianti e
femminili, piccoli chioschetti fumosi sul lungomare, insegne luminose ed un allegro
vociferare.
E’ la serata libera dell’equipaggio e una scia di profumo lascia la barca assieme
ai ragazzi sorridenti.
Io e Carla ci guardiamo…l’idea di una passeggiata in Port Sudan by night non ci
dispiace affatto. Alla fine anche gli altri ci seguono e ci facciamo accompagnare
dal gommone sulla banchina.
Il capitano ci offre un karkadé e un narghilé in uno dei tanti “baretti” in riva
al mare. Una ragazza si accuccia per terra e inizia a trafficare con teiere dorate
per poi versare dell’acqua in piccoli bicchierini di vetro che ci porge.
L’aroma è fruttato e il vapore caldo sale alle narici confortando i nostri spiriti,
già proiettati verso il rientro, e deliziando i palati.
Port Sudan 26-09-’09
Il caldo è soffocante.
Lasciamo la Sherazade tra i baci, gli abbracci e la promessa agli altri e a noi
stessi di tornare presto. Saluto i ragazzi che hanno reso tutto così perfetto, veri
uomini di mare. Perché, come mi ha confidato un giorno il capitano mentre, con lui,
scrutavo l’orizzonte, anche se le onde sono alte, ogni volta che toccano terra,
vogliono tornare in mare.
Giacomo ha insistito per accompagnarci in esplorazione di Port Sudan e della zona
che prima ospitava il mercato.
Rimango con gli occhi appiccicati al finestrino; la città è portuale e commerciale
e, a differenza di ieri sera, nonostante siano le 10 del mattino, sono proprio pochi
i sudanesi per le strade.
Il pullmino frena e noi scendiamo.
Nessuno corre o sembra andar di fretta qui a Port Sudan e quasi tutti si riparano
sotto i portici ventilati, tinteggiati di bianco che appartengono ancora al periodo
coloniale inglese e che costeggiano le strade polverose color del deserto.
Qui si vende di tutto. Un bambino sta buttando dentro un pentolone pieno d’olio
che frigge l’impasto di ceci per le falafel…il profumo è irresistibile. Dentro i
negozi articoli di ogni genere e fuori, seduti a terra, altri negozianti di strada
espongono la loro merce.
Pochi richiamano la nostra attenzione, la maggior parte evita di incrociare gli
sguardi e le donne sbirciano le nostre macchine fotografiche con sospetto, calcando
il velo sul viso.
I colori delle spezie e delle stoffe sono i veri protagonisti di queste strade calde
e insipide.
Un aroma familiare ci richiama attorno a Giacomo che tiene in mano un sacchetto
pieno di panini arabi appena sfornati. Sono tiepidi e fragranti e sanno di vero
pane…è la cosa più semplice del mondo e così squisita che, anche se non abbiamo
particolare appetito, lo divoriamo in un attimo.
Karkadé, tessuti ricamati e un pugnale decorato con pelle di serpente e manico in
sandalo dei cavalieri nomadi del Darfur… lasciamo sazi Port Sudan e la sua gente
quando il sole è bollente nel cielo.
Il Cairo 27-09-’09
Nessuna strada è così dritta da non poter decidere di cambiare rotta.
Margherita Bigi