Nell’immaginario comune lo stereotipo dello squalo è rappresentato da esemplari di dimensioni ragguardevoli, caratterizzati da corpo affusolato, coda poderosa e da una continua attività di nuoto che incarna il mito degli squali predatori.
L’ordine con cui possiamo classificarli è quello dei Carcharhinifomi, comprendente ben 50 specie tra cui i famosi “Squali Grigi”, detti anche “squali di barriera”.
Si tratta di una dozzina di specie, che hanno caratteristiche morfologiche, fisiologiche e biologiche simili e che vivono in mari temperati e tropicali.
Distribuzione
Gli squali grigi di barriera sono presenti sia in acque temperate (Mar Mediterraneo, Oceano Atlantico), che in acque tropicali (Oceano Pacifico, O. Indiano e Mar Rosso).
Morfologia e biologia
Queste specie di squali misurano mediamente tra i 2 e i 3,5 metri e sono caratterizzati da una struttura corporea particolarmente idrodinamica, grazie alla morfologia cranica, alla forma tagliente delle pinne pettorali e alla potente pinna caudale eterocerca (lobo superiore di dimensioni maggiori rispetto a quello inferiore), che conferisce loro un nuoto sinuoso ma allo stesso tempo veloce. Gli squali grigi di barriera, sono animali costretti ad un nuoto perenne in quanto non hanno la possibilità di attuare la cosiddetta “respirazione a pompa”, vale a dire la circolazione dell’acqua all’interno delle branchie, grazie al movimento volontario dei muscoli mandibolari.
Molto spesso si sente erroneamente affermare che tutti gli squali devono nuotare di continuo per poter ossigenare il proprio sangue e quindi respirare.
Questa affermazione non è corretta: infatti esiste un gran numero di specie di squali che riesce a respirare anche evitando di nuotare, grazie alla propria capacità di effettuare la sopra menzionata “respirazione a pompa”, mentre altre specie, tra cui appunto gli squali grigi di barriera, non sono in grado di attuare una respirazione “volontaria”e sono quindi costretti ad un nuoto perenne.
Gli squali grigi sono animali vivipari, cioè lo sviluppo embrionale avviene all’interno dell’utero materno e sovente “vivipari placentati”, ovvero caratterizzati dalla presenza una sorta di placenta, che avvolge l’embrione all’interno dell’utero.
La gestazione è solitamente lunga (dai 12 ai 16 mesi) e il numero di esemplari partoriti varia mediamente da 10 a 30.
Etologia
La denominazione di “squali grigi di barriera”, deriva dalle loro abitudini di vita: infatti queste specie sono solite trascorrere la loro esistenza ai margini delle barriere coralline da cui traggono le fonti di nutrimento. Questi squali infatti si cibano di pesci e cefalopodi che popolano le barriere coralline.
Non si tratta di specie che vivono in gruppo (caratteristica etologica non riscontrata negli squali), anche se alcune specie (ad esempio Carcharhinus amblyrhyncos), formano dei “gruppi stanziali”. Il termine “gruppo” va quindi inteso come numero di esemplari che vivono in una determinata area e che sono soliti riprodursi tra loro: quotidianamente però conducono una vita solitaria e solo in particolari momenti di interesse (ad esempio, una preda che attira l’attenzione di più esemplari), stazionano in uno spazio ristretto.
Questi gruppi possono arrivare a contare circa 20/30 esemplari, con una “sex ratio” (percentuale maschi/femmine) paritaria: nel gruppo vi è solitamente la presenza di 2/3 femmine adulte dominanti e di 6/8 maschi dominanti. Il resto degli esemplari che compongono il gruppo può essere in età sub-adulta o non dominante.
Durante il giorno gli squali grigi pattugliano i plateaux e le pareti delle barriere coralline mantenendosi tra i 10 e i 40 metri di profondità, cercando acque ben ossigenate e con temperature inferiori rispetto alla superficie. Le loro attività di caccia si svolgono invece nelle prime ore dell’alba o all’imbrunire.
Ruolo biologico
La posizione degli squali grigi nella catena alimentare marina è fondamentale in quanto essi svolgono il ruolo di “spazzini” e di “controllori” biologici e patologici.
Questi squali infatti si comportano da “spazzini” in quanto si nutrono di animali morti o morenti mentre, nutrendosi anche di animali malati e malfermi, controllano lo sviluppo di patologie e la percentuale di malattie genetiche. La loro presenza è indice di equilibrio biologico delle barriere coralline e risulta quindi fondamentale preservarne il numero dalla pesca indiscriminata..
Tecniche di osservazione
Durante le immersioni nei mari tropicali (Indo-pacifico, Mar Rosso), capita di incontrare esemplari di squali e molto facilmente si tratta di specie riconducibili al gruppo degli squali grigi di barriera: sovente sono esemplari della specie Carcharhinus amblyrhyncos caratterizzati dalla colorazione nera delle punte delle pinne pettorali oppure si possono incontrare esemplari di Carcharhinus limbatus, o meno frequentemente di Carcharhinus albimarginatus le cui pinne sono invece orlate di bianco.
L’incontro con questi animali è un’occasione emozionante e avviene spesso in maniera improvvisa: gli squali infatti, che già a lunga distanza “captano” la presenza dei sub in acqua, appaiono all’improvviso quando, spinti dalla loro curiosità, si avvicinano.
Il rapido passaggio dello squalo vicino al sub, può avvenire anche a breve distanza, ma raramente l’animale mostra aggressività: il sub da parte sua deve semplicemente mantenere la propria retta di immersione, evitando di fare rapidi scatti, ma ciò al solo fine di non spaventare lo squalo che così continuerà nel suo calmo nuoto, mostrando tutta la sua maestosità.
Shark Feeding
Durante la metà dello scorso decennio, in diversi siti di immersione sia della fascia tropicale che caraibica, alcuni subacquei (spesso guide di diving), hanno cominciato ad avvicinare gli squali tramite una tecnica che ha preso il nome di “Shark Feeding”:questa tecnica consiste nell’immergersi sempre nel medesimo punto utilizzando del pesce morto per attirare gli squali: essi, naturalmente attratti dalle facili prede, col prolungarsi dei contatti con l’uomo, arrivano ad avere atteggiamenti quasi “domestici”, facendosi anche accarezzare dai subacquei. Questa pratica però, che all’inizio ha avuto tanto successo, risulta essere assolutamente deleteria, tanto che oggi è contrastata da tutti i gruppi di ricerca che si occupano di squali, fino ad essere vietata in molti paesi a vocazione subacquea.
Un’analisi approfondita dello “Shark Feeding” ha evidenziato stravolgimenti nelle attività predatorie degli squali che trovando una facile e poco dispendiosa fonte alimentare, riducono la loro “pressione di caccia” con gravi conseguenze sull’intero equilibrio marino.
Inoltre un’intensa alimentazione, dettata dalla frequente attuazione del “feeding”, porta disequilibri alimentari con conseguenti degenerazioni epatiche: gli squali infatti hanno un apparato digestivo completamente diverso dagli altri pesci e quindi un’alimentazione eccessiva (non naturale), produce evidenti danni alla loro salute.
Il “Feeding” quindi, risulta molto negativo sia per gli squali che per l’ecosistema in cui essi vivono.
Finning e Progetto “Save the sharks”
Come noto, da tempo gli squali sono vittime di una pesca molto intensa, a causa del grande interesse economico che le loro pinne destano sui mercati orientali.
Attualmente una decina di specie risultano essere a rischio di estinzione: tra queste fortunatamente non ci sono gli squali grigi, ma è evidente però che il loro numero sta rapidamente diminuendo. A causa della biologia riproduttiva degli squali (maturità sessuale ad età avanzata, gestazione molto lunga, limitato numero di giovani nati per parto), questi pesci non sono in grado di contrastare l’intensa pesca. Se si considera che tale pressione non ha veri scopi alimentari, ma solo interessi commerciali (la zuppa di pinna di squalo è considerata afrodisiaca in oriente), si capisce quanto e quale danno può causare il perdurare di tale sterminio, anche rispetto all’equilibrio marino.
Spinto da queste motivazioni, da circa 10 anni partecipo ed organizzo conferenze in cui racconto le mie esperienze di anni di viaggi-studio in tutto il mondo, con il fine ultimo di mostrare la vera natura di questi splendidi animali e salvaguardarne l’esistenza.
Uno dei siti su cui ho maggiormente lavorato e dedicato le mie ricerche è il Sudan, che grazie al minimo impatto turistico, consente di poter osservare e studiare ancora un gran numero di specie di squali, tra cui gli squali grigi di barriera (Carcharhinus amblyrhyncos).
I reef sudanesi risultano attualmente una vera perla ambientale, in quanto la presenza di squali è ancora molto numerosa e ciò ha attivato me e i miei collaboratori al fine di preservare tale condizione. A tale scopo, nell’ultimo anno mi sono dedicato all’attuazione di un progetto di salvaguardia degli squali in due reef del Sudan (Sha ‘ab Rumi e Sanganeb), che cominciano a mostrare i segni di un’iniziale pesca agli squali.
Questo progetto, che prevede la collaborazione del governo sudanese, si chiamerà “Save the Sharks” e avrà come scopo il controllo dei due reef menzionati da parte delle autorità militari: attualmente è in attesa di essere approvato ed inserito tra i finanziamenti di un’importante fondazione mondiale dedita alla salvaguardia ambientale marina. A ciò si affiancherà un lavoro didattico in Sudan e in Europa, che mirerà a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della salvaguardia di questi ecosistemi e ovviamente delle tante specie di squali.
Dr. Danilo Rezzolla Mediterranean Shark Research Group www.danishark.it