Introduzione
Tutte le conchiglie hanno da sempre un indubbio fascino sull’uomo. Le innumerevoli forme e colori che questi oggetti del mare mostrano sono sempre state oggetto di ammirazione. Eppure le conchiglie non sono altro che lo “scheletro” di animali che molti di noi riterrebbero piuttosto semplici e primitivi, piuttosto “sgradevoli” ai nostri occhi, i molluschi. Ma allora perché tanta bellezza? A che pro un mollusco dovrebbe sforzarsi tanto per costruire un nicchio così complesso e pesante? Di sicuro la prima funzione della conchiglia è proteggere le sue parti molli, che altrimenti sarebbe facile preda. La maggior parte dei molluschi infatti, se minacciata, può ritirarsi completamente all’interno della conchiglia. Infatti quasi tutti i molluschi hanno una conchiglia per non farsi mangiare facilmente, tranne nei casi in cui siano tossici (come nel caso dei nudibranchi, che tutti i subacquei conoscono per i loro colori sgargianti che segnalano ai predatori la loro tossicità) o che sappiano fuggire o nascondersi velocemente (come ad esempio i cefalopodi, che con il loro movimento a reazione e la loro capacità di cambiare colore molto velocemente possono sfuggire alla cattura). Poi molte conchiglie portano spine, aculei, protuberanze che fungono da ulteriore dissuasione all’attacco. Altre infine sono il substrato per spugne ed altri organismi che mimetizzano il mollusco rendendolo simile al resto del fondale. Tra tutti i molluschi con conchiglia però, le cipree sembrano avere le caratteristiche più strane. Innanzitutto la loro conchiglia è quasi sempre liscia e lucida, senza spine o aculei. Poi presenta un’immensità di disegni e colori di tutti i tipi, tanto da essere estremamente vistosa, anche se per quanto se ne sa, le cipree non sono velenose come i nudibranchi, ne tanto meno sono in grado, con i loro occhi semplici, di vedere tali colori. Inoltre, come vedremo, il mollusco ricopre spesso completamente la conchiglia, che diventa visibile solo quando questo si ritrae all’interno. Nonostante tutto ciò, le cipree sono tra i molluschi più comuni in ogni reef tropicale, il che dimostra che se la cavano piuttosto bene! Questi stupendi animali riescono a sopravvivere poiché sono alquanto elusivi (di giorno si nascondono molto bene sotto rocce o coralli morti) e, in molti casi, sfuggono ai predatori anche grazie ad una conchiglia molto resistente e difficile da triturare, con un’apertura molto stretta e denticolata, attraverso la quale il predatore ha difficoltà a raggiungere le parti molli. I loro colori invece sono ancora un mistero, il che rende questi animali tra i più affascinanti risultati dell’evoluzione della vita sulla terra. Nelle immagini seguenti due cipree molto comuni, trovate a Zanzibar e poste momentaneamente in una bacinella per essere fotografate. A sinistra: Naria erosa, a destra coppia di Naria helvola. In entrambi i casi si nota lo sviluppo del mantello che può ricoprire la vistosa conchiglia, mimetizzandola nel fondale.
Cenni Storici
Per la loro particolare lucidità e bellezza, tanto da essere ritenute “finte” da chi le incontra per la prima volta, le cipree attraggono sin dai tempi più remoti l’attenzione degli esseri umani. In siti neolitici del Sud Africa gli archeologi hanno rinvenuto alcune cipree, conservate da quegli antichi uomini semplicemente per il loro aspetto gradevole. Del resto addirittura l’austero Linneo assegnò loro il nome di Cypraea ispirandosi a Cipro, patria della Dea della Bellezza (Afrodite o Venere, per i Romani), ritenendole meritevoli di rappresentare egregiamente tale qualità. Che dire poi della Monetaria moneta (nella foto sotto, dal sito www.cypraea.net), il cui nome rammenta il suo millenario utilizzo come valuta negli scambi commerciali dei paesi affacciati sull’Oceano Indiano? Con poche manciate di questa conchiglia si acquistavano nel passato i beni più disparati… perfino le mogli! Ricchi mercanti ammucchiavano migliaia di esemplari in forzieri come fossero monete d’oro.
I tempi di questo mercato sono a noi assai lontani, ma rimangono tutt’oggi legati alle cipree significati anche più profondi, dovuti alla loro forma stravagante, nella cui fessura inferiore si possono ravvisare similitudini con il sesso femminile.
Così le usanze indigene di vari popoli anche assai lontani geograficamente, dall’Africa alla Melanesia, convengono nel ritenere le cipree un emblema di fertilità e procreazione, proteggendo le partorienti durante il travaglio, adornando vesti e maschere rituali come amuleti, divenendo persino oggetti divinatori.
Anche la psicologia si e’ pronunciata su di loro, sottolineando il legame che hanno nel nostro inconscio con la sessualità, naturalmente per una non celata rassomiglianza, tanto che per questa forma erano considerate sacre alle divinità generanti.
Nelle Cypraea pantherina del Mar Rosso dell’immagine seguente, si osservano chiaramente i lobi carnosi del piede a suola che esce dall’apertura denticolata della conchiglia.
Lo studio scientifico delle cipree fu inizialmente subordinato a quello dei molluschi in generale, comparendo già in gran numero nelle tavole settecentesche ed ottocentesche.
Ad un criterio prettamente comparativo, limitato alla descrizione di nuove specie (pratica che ha prodotto un proliferare eccessivo di nomi), si è distinto dagli anni ’30 in poi un approccio più rigoroso, che analizzava con maggior dovizia di particolari anche l’anatomia, la distribuzione, la storia evolutiva di questi molluschi. Primo fra tutti si distinse F. A. Schilder, il quale costruì una classificazione della famiglia che ancora oggi è largamente valida. Inoltre, fece piazza pulita degli oltre 3000 nomi che venivano attribuiti alle circa 150 specie allora note. Altri studiosi autorevoli furono T. Iredale, C. Cate, R. Kilburn, W. Liltved, anche se molti altri autori contribuirono dedicandosi ad un approccio unicamente “conchigliologico”, cioè basato solo sullo studio della sola conchiglia e non di tutto il mollusco. Grande eco ebbe l’opera divulgativa di C. M. Burgess, che attraverso il suo primo libro (1970) illustrò cipree fino ad allora scarsamente conosciute al grande pubblico come la “fultoni” o la “teramachii”, grandi rarità di un tempo. Fra i collezionisti che hanno saputo anche divulgare, attraverso le loro pubblicazioni, l’amore per questa famiglia citiamo soprattutto L. Raybaudi Massilia, recentemente scomparso, e F. Lorenz. La più recente opera dedicata alle cipree risale al 2004 e tratta i generi endemici australiani Zoila ed Umbilia: Australian’s Spectacular Cowries, di B. Wilson e P. Clarkson, un volume che ci sentiamo di consigliare per la ricchezza iconografica anche ai naturalisti in generale e a tutti gli amanti del mondo sommerso.
Evoluzione
Le cipree appartengono ad una famiglia di molluschi gasteropodi marini (Cypraeidae) che conta attualmente poco meno di 200 specie. “Attualmente”, perché la storia evolutiva di questa famiglia è resa piuttosto complessa dalle oltre 250 specie estinte finora descritte. La famiglia Cypraeidae compare sulla Terra, almeno per quanto ci è reso noto dai reperti paleontologici, nel Titoniano, un periodo del Giurassico datato intorno ai 145-150 milioni di anni fa, quando le prime cipree arcaiche convivevano con i dinosauri e le ammoniti. Forse un segno del destino, chissà, ma le più antiche cipree da noi conosciute provengono da depositi giurassici italiani, con maggiore precisione dalla Sicilia, con le due specie Bernaya gemmellaroi e Palaeocypraea tithonica. Le loro conchiglie erano piccole, sferoidali e sembrano aver incontrato il favore dell’evoluzione diversificandosi in decine di specie irradiatesi in tutti i continenti tra il Cretaceo e l’inizio dell’Era Cenozoica. Dal Paleocene Taneziano in poi, la famiglia si è diramata in numerose “linee filetiche” (genealogie di specie derivate da un antenato comune), ognuna delle quali ha generato specie particolarissime, alcune tubercolate, altre gigantesche e dalle forme stravaganti, altre con appendici appuntite o basi larghe ed appiattite, come illustrano le immagini seguenti: da sinistra un esemplare tipo di Gisortia (Francia), uno di Vicetia (Veneto, italia), uno di Umbilia gastroplax (Victoria, Australia). Ma fra tanti rami, solo alcuni, peraltro come già detto abbastanza uniformi nella struttura generale della conchiglia, sono sopravvissuti all’Oligocene e al Miocene, delineando i gruppi che ancora oggi vivono nei mari tropicali del globo. Tra questi gruppi estinti assumono un interesse particolare, almeno per quanto riguarda il numero di specie interessate, le Trona e Miolyncina europee (in alto a sinistra, soprattutto Eocene e Miocene), le Umbilia mioceniche australiane e le Siphocypraea americane (in basso a sinistra), dal Miocene al Pleistocene, delle quali sopravvive la relitta S. mus del Venezuela, vero e proprio fossile vivente.