RAZZE

Con il termine “pesci cartilaginei” si identifica un gran numero di specie, la cui struttura scheletrica non è costituita da tessuto osseo ma da quello cartilagineo: a queste specie, oltre agli squali e alle Chimaerae, appartengono anche le razze.

CLASSIFICAZIONE E MORFOLOGIA
Esistono poco meno di 500 specie di razze (456) classificate nel SuperOrdine dei Batoidei e suddivise in 5 ordini: si tratta di animali che durante la loro lunghissima evoluzione, oltre 400 milioni di anni, hanno modificato la loro morfologia in modo da adattarsi alla vita di fondale, evolvendo di conseguenza anche aspetti della loro fisiologia e biologia.
Il progenitore da cui si sono evoluti i “tipici” squali è il medesimo delle razze ed è per questo che “volgarmente” squali e razze vengono definiti “cugini”: ciò è dovuto soprattutto a due aspetti morfologici che contraddistinguono tutti gli Elasmobranchi: 1: Struttura scheletrica costituita da tessuto cartilagineo 2: assenza della vescica natatoria Riassumendo si può quindi dire che le razze sono strette parenti degli squali, ma che a differenza dei loro “cugini” hanno seguito una strada evolutiva differente che le ha portate a modificare la loro morfologia e la loro biologia, al fine di un adattamento alla vita di fondale.
Questi animali hanno quindi sviluppato una forma discoidale, grazie alla fusione delle pinne pettorali, mentre la pinna caudale ha assunto una forma a “frusta”, perdendo parte della sua importanza propulsiva.
Sono rimaste le pinne anali, mentre le dorsali hanno assunto forme e posizioni diverse in base alle differenti specie.
Anche la forma e il posizionamento della bocca sono state modificate, ponendo l’apparato boccale in posizione inferiore rispetto al disco corporeo e facendo migrare gli occhi entrambi in posizione dorsale: per migliorare l’afflusso di acqua alle branchie, le razze sono dotate di due spiracoli posti in posizione dorsale, poco dietro l’occhio.
Questa morfologia esterna ha reso idonea la loro permanenza in prossimità del fondo marino (o fluviale), anche in zone caratterizzate da forti correnti: La lunga evoluzione, oltre a lavorare sulla morfologia, ha operato variazioni anche sulla biologia di queste specie che adattandosi alla vita di fondale hanno indirizzato le loro attenzioni alimentari, esclusivamente su animali presenti sul fondo (animali bentonici), come piccoli pesci, crostacei e molluschi.
Queste strategie alimentari, che prevedono quindi la caccia in ambienti poco illuminati e con prede che spesso si nascondono sotto la sabbia o il fango, hanno dato un sensibile impulso allo sviluppo degli organi di senso, soprattutto all’apparato elettrosensoriale.
Come per tutti gli squali infatti, lungo la zona cranica delle razze, sono presenti delle piccole ampolle (“Ampolle di Lorenzini”), che captano i campi elettrici anche di bassissima intensità: tale organo di senso, già utilissimo a tutte le specie di squali predatori, nelle razze svolge un ruolo fondamentale in quanto permette di localizzare anche le prede che si nascondono sotto il fondale.
Anche il derma delle razze ha seguito un particolare filo evolutivo, concedendo a questi animali colorazioni del dorso che favoriscono il mimetismo: molte specie infatti hanno caratteri cromatici con disegni a righe o a spot, per riprendere le colorazioni tematiche dei fondali che popolano; altre invece, vivendo in zone totalmente sabbiose, hanno assunto colorazioni omogenee grigio-azzurre per meglio mimetizzarsi.
Tra le circa 450 specie di razze, vi sono una decina di specie che vivono in ambienti salmastri o addirittura in acque dolci: esistono infatti specie il cui habitat è costituito dal grande bacino del Rio delle Amazzoni, in Sud America dove la concentrazione salina è bassissima.

LA RIPRODUZIONE
Anche se hanno seguito un filo evolutivo differente dagli squali, le razze hanno le stesse modalità riproduttive dei loro cugini: trattandosi di tipologie riproduttive assai complesse (molto di più rispetto ai pesci ossei), si può dedurre che il processo evolutivo delle razze si sia “separato” da quello degli squali, solo dopo che tutti i pesci cartilaginei si erano evoluti dal punto di vista riproduttivo.

Infatti tutti gli Elasmobranchi, oltre ad attuare una riproduzione di tipo sessuale, che culmina cioè con un accoppiamento interno come nei mammiferi, hanno poi una gestazione, che in base alle specie può essere di 2 tipi:
1: Riproduzione Ovipara.
Le femmine delle specie ovipare di squali e razze, dopo essersi accoppiate, depongono le uova che, dopo una maturazione che va dai 3 ai 5 mesi, daranno vita ad un giovane esemplare completamente autosufficiente. Dal momento della deposizione non ci sarà alcun rapporto tra madre e uovo/giovane nato.

2: Riproduzione Vivipara (placentata o aplacentata).
Le femmine delle specie vivipare, dopo l’accoppiamento producono delle uova la cui gestazione avviene all’interno dell’utero materno.
Se la specie è vivipara placentata, l’embrione che nascerà dall’uovo si svilupperà all’interno dell’utero, sarà avvolto in una placenta (come avviene per i mammiferi) e trarrà nutrimento da una sorta di cordone ombelicale che si chiama appendicula.
Se la specie e vivipara aplacentata, l’embrione sarà ospitato nell’utero e trarrà nutrimento dal proprio sacco vitellino.
Al termine della gestazione, che per alcune specie può durare anche 20 mesi, la femmina partorirà giovani esemplari totalmente autosufficienti, che non avranno alcun legame con la madre. L’approccio subacqueo alle razze Trattandosi di animali bentonici, che quindi vivono prevalentemente vicino al fondo marino, l’osservazione di questi pesci cartilaginei risulta essere meno frequente rispetto ad altri pesci: discorso diverso per quelle specie presenti nei mari tropicali che si vedono ai piedi delle barriere coralline, anche a poca profondità.

Si tratta spesso dei generi Dasyatis sp. e Taeniura sp. che cibandosi prevalentemente durante le ore crepuscolari, durante il giorno stazionano in piccole grotte o anfratti: la curiosità del subacqueo spesso lo spinge ad avvicinarsi molto e a volte anche ad incauti contatti.
Il comportamento della razza solitamente infastidita dallo strano animale che si avvicina, è quello di muoversi e nuotare verso il mare aperto, mostrandosi in tutto il suo splendore.
Ricordo però che vivere il mare non vuol dire invadere i suoi spazi, ma saper apprezzare ciò che si vede, nel massimo della sua naturalezza.

Ma l’aculeo delle razze è velenoso? Credenza comune è quella che l’aculeo presente sulla coda delle razze sia velenoso: innanzitutto non tutte le specie di razze sono dotate di aculeo, che l’evoluzione ha donato a questi pesci per permettere loro di difendersi.
Quelle specie che ne sono provviste, hanno nella parte terminale della coda, un aculeo a forma di stiletto o di sottile lama, che in alcune specie raggiunge la massima dimensione di circa 8cm.
Questo aculeo, è intriso di un muco irritante che a contatto con le mucose interne produce forti bruciori e irritazioni, ma non di un vero e proprio veleno.
In sintesi queste lame sono potenzialmente molto pericolose per l’uomo in quanto sono in grado di produrre profonde ferite e qualora queste vengano inferte non su arti ma in zone delicate come la zona toracica, possono avere esiti molto gravi, se non addirittura fatali.
Bisogna però dire che le reazioni aggressive da parte delle razze sono davvero eventi molto rari e che sempre sono causate da comportamenti sbagliati da parte di subacquei o di incauti bagnanti.

Le razze e il loro interesse alimentare
Le molte specie di razze rappresentano un importante mercato alimentare in quanto sono molto apprezzate per le loro carni corpose e saporite: in particolare lungo le coste del Mediterraneo le specie appartenenti al genere Raja sp. sono molto apprezzate e vengono quindi pescate con particolare interesse.
Purtroppo negli ultimi anni si notano sui banchi dei mercati esemplari sempre più piccoli e questo è un aspetto della pesca, che agendo su animali giovani, impoverisce la popolazione di razze minando la loro presenza lungo i fondali a media profondità (200-300 metri). Così come per gli squali quindi, bisogna mantenere un occhio di riguardo per questi animali, che dopo oltre 400 milioni anni di evoluzione, si trovano ora a combattere contro un “estraneo” che la natura non aveva calcolato: l’uomo.

Danilo Rezzolla Mediterranean Shark Research Group www.danishark.it    

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