Chinese wreck

Località Umm Lajj (Arabia Saudita)
Distanza dalla Costa 13 miglia
Tipo Nave sambuco
Nazionalità presunta araba
Cantiere sconosciuto
Varo XVII secolo
Data Affondamento XVII secolo
Causa Affondamento presunto incendio a bordo
Lunghezza circa 30 metri
Larghezza circa 10 metri
Stazza sconosciuta
Propulsione vela
Motori no
Eliche no
Posizione rottami
Profondità minima e max. 20 metri
Profondità max consigliata 20 metri
Visibilità da media a buona
Corrente nulla
Difficoltà semplice
Esplorazione Interni impossibile
Interesse Storico elevato
Interesse Biologico basso
Interesse Scenografico elevato
Ora migliore ore centrali
Notturna si
Snorkelling si

NAVE

Quello che rimane di questo importante relitto sono pochi e malridotti legni che appartenevano al fasciame della nave. Con una osservazione più attenta, osservandolo dall’alto si riesce ancora ad intuirne alcune parti semisommerse sotto la sabbia. Pochi resti di quelle che erano le ordinate della nave emergono fuori dal fondale sabbioso, tutto il resto è sommerso. Si presume che si trattasse di un sambuco, tipica nave del Mar Rosso che naviga queste acque sin dall’antichità. Abbiamo stimato che fosse lunga dai 40 ai 50 metri per una larghezza di circa 8/10 metri. Questa tipologia di navi operava in Mar Rosso nel 17° secolo e venivano utilizzate per il trasporto di merci provenienti dall’Estremo Oriente e persino dalla Cina, destinate ai mercati arabi ed egiziani ma soprattutto rivenduti in occidente. Il relitto si trova all’interno della laguna di Umm Lajj sulla costa dell’Arabia Saudita. La nave con molta probabilità era andata ad ormeggiare dentro la laguna per trascorrere la notte prima di riprendere la navigazione con la luce del sole. Osservando attentamente alcuni pezzi del fasciame, sono evidenti tracce di legno bruciato da qui è stato dedotto che la causa dell’affondamento sia scaturita da un incendio divampato a bordo per cause sconosciute. Come abbiamo detto non è sicuro che si trattasse di un classico sambuco arabo, purtroppo i pochi elementi a disposizione ma soprattutto il poco tempo non ci hanno permesso di identificarne la provenienza. Potrebbe trattarsi anche di una nave di origine cinese o addirittura europea. Il carico L’unica certezza che abbiamo di questo misterioso relitto riguarda parte del suo carico infatti, un incredibile cumulo di piccole anfore di terracotta semilavorata, è presente in quella che doveva presumibilmente essere la zona poppiera della nave. Oltre al cumulo di anfore sono state rinvenute numerose tazzine di porcellana, miriade di cocci delle stesse tazzine oltre a pezzi di grosse otri, caratterizzate da bellissime incisioni, grosse maniglie tonde e piccoli vasi attaccati. Da tutti questi ritrovamenti siamo riusciti a risalire al presunto periodo di affondamento. Le piccole anfore non più alte di 50 centimetri sono di forme diverse Porcellane cinesi Attraverso meticolose ricerche effettuate da Richard Kilburn presso gli archivi della British East India Company, è stato rinvenuta una lettera scritta nell’autunno del 1727 da parte di un ufficiale della compagnie e destinata a coloro che erano preposti ad effettuare gli acquisti in Cina di porcellane. Veniva specificatamente richiesto che i disegni sulle porcellane non raffigurassero immagini umane e di animali in quanto non consentito dalle istituzioni religiose e culturali islamiche dato che i porti sulla costa araba erano il punto di scambio di questi prodotti che avrebbero poi proseguito la loro corsa verso i mercati dell’occidente. Da qui si capisce come mai la maggior parte di questi manufatti fossero caratterizzarti prevalentemente da disegni floreali. Questo esempio ci da la misura di come già a quel tempo, il mercato globale fosse ben attivo e regolamentato da leggi ben precise. E’ interessante notare come alcuni reperti di tazzine rinvenute siano colorate di rosso, oro e altri smalti colorati imitando quello che era lo stile giapponese della decorazione. Sulla spinta delle richieste sempre crescenti provenienti dai mercati europei, la produzione di porcellane a smalti policromi si sviluppa sempre di più e, già a partire dal XVII secolo, le porcellane venivano suddivise in famiglie per colore: famiglia verde, famiglia gialla, famiglia rosa e famiglia nera, in base ai colori predominanti nella decorazione che invadono l’Europa pervasa dal gusto per le chinoiseries. Una curiosità è rappresentata dalla porcellana della Famiglia Rosa che può considerarsi forse l’unico contributo dato dall’Occidente alla Cina in questo campo. Lo smalto rosa chiamato Porpora di Cassio, dal nome dell’olandese Andreas Cassius di Leida che lo scoprì nel 1671, e’ un colore derivato dal cloruro d’oro, reso opaco con l’aggiunta di ossido di stagno e chiamato dai cinesi fencai, ovvero colore pallido o yangcai, colore straniero.


STORIA

Il ritrovamento Lunedì 14 agosto 2006. Dopo avere mollato gli ormeggi dall’isola di Hasani di fronte al paese di Umm Lajj, dove abbiamo ormeggiato per la notte, ci dirigiamo verso nord. La giornata è magnifica e il mare è una tavola d’olio che ci permette di navigare in assoluta tranquillità. Il prossimo blocco di reef da perlustrare è una laguna a nord di Hasani. Nella mattinata ci dedichiamo alla perlustrazione delle pareti esterne della laguna dividendoci in vari gruppi di ricerca. La presenza di una vecchia nave che trasportava chinese pottery (tazzine cinesi) mi era stata confidata tempo addietro. “Circa un anno fa un gruppo di subacquei americani che lavorano in Saudi Arabia ha trovato i resti di una nave che trasportava anfore e tazzine di porcellana cinesi. “ La notizia ovviamente aveva suscitato troppa curiosità per essere tralasciata ma purtroppo la possibilità di raggiungere questi reef si è presentata soltanto dopo un anno. Nessuno a bordo aveva una idea chiara di quale fosse il punto dove si trovava il relitto ma l’occasione era troppo ghiotta per lasciarla cadere nel vuoto. Sono iniziate una serie di comunicazioni alla ricerca di chi era presente il giorno del primo ritrovamento. Cominciamo a raccogliere alcune informazioni che ci permettono di avere un’idea del reef dove dovrebbe essere presente il relitto. Tra le tante informazione, quella che si rivelerà fondamentale è che sul lato esposto ad est in corrispondenza dell’uscita, il reef crea un prominente dente corallino. Oggi 14 agosto siamo ormeggiati all’interno di una bella laguna dalla classica forma a ferro di cavallo che mi ricorda quella di Dophin reef in Egitto dove nel 1991 avevamo ritrovato i resti di un carico di anfore romane. Dopo averla navigata all’interno, abbiamo individuato un punto a nord est dove il reef forma una sorta di lingua di corallo. Ormeggiamo il Dream Master a ridosso e pranziamo. Decidiamo di fare un primo tuffo di ricerca provando ad immaginare dove potrebbe trovarsi. “Potrebbe essere entrato all’interno dal versante esposto ad est e avere cercato riparo nella prima zona protetta dai forti venti provenienti da nord e quindi non molto distante da dove siamo ormeggiati”. Osservando la zona intorno individuiamo alcune teste di corallo quasi emergenti e quindi pericolose per le barche. A questo punto non rimane che seguire la parete interna del reef formando un gruppo di 4 persone che nuoterà distanziato in modo da coprire lo spazio maggiore, lo stesso faremo al ritorno allontanandoci dall’aera appena perlustrata. L’acqua è abbastanza torbida così come normale dove c’è fondo sabbioso. Dopo circa un centinaio di metri individuiamo alcuni pezzi di legno isolati emergere dalla sabbia. Guardo verso Alessandro, Sergio e Francesco e mi accorgo che stanno facendo ampi segni con le braccia almeno così mi sembra data la notevole distanza che ci separa. Intravedo una grossa macchia scura ma non riesco a capire di casa si tratti. Una montagna di piccole anfore accatastate una sopra l’altra e quel che resta del fasciame della barca che osservato dall’alto ci da un’idea della sua posizione al momento del naufragio. Rimaniamo estasiati da questa visione. Nuotiamo lentamente cercando di non alzare sabbia. Le piccole anfore in terracotta hanno forme e disegni diversi. Osservando più attentamente individuiamo anche alcuni bruciatori di profumi e infine i resti di grosse giare con splendide incisioni e grossi manici ad anello ma la vera sorpresa sono minuscoli pezzi di porcellane sotterrate sotto la sabbia e poi finalmente una cassa contenente tazze intere. Avremmo dovuto avvisare tutti gli altri se mai avessimo trovato il relitto. Ma il tempo si è fermato. Le rotte commerciali in Mar Rosso La navigazione commerciale in Mar Rosso ebbe inizio sin da cinquemila anni fa quando a bordo di piccole zattere, si effettuava il trasporto dell’ossidiana, un vetro naturale denso di colore nero di origine vulcanica. Da allora questo mare è sempre stato navigato passando dalle flotte dei faraoni a quelle del Regno di Punt. Millenni il Mar Rosso veniva navigato dalle flotte Romane che partivano dai porti sulla costa egiziana per trasportare pietre preziose e graniti che venivano estratti dalle miniere. Altre navi navigavano sino alle Indie sfruttando i monsoni favorevoli per caricare spezie, profumi e sete preziose destinati all’Europa. Le stesse navi tornavano in India dall’Oriente cariche di resine aromatiche, spezie e avorio. Nel corso del 13°, 14° e 15° secolo i primi commercianti mammalucchi cominciarono ad importare dai paesi arabi e dal lontano Oriente ceramiche cinesi ed iraniane che venivano scaricate nei porti di Quseir sulla costa egiziana o al porto di Jeddah sulla costa opposta. A Jeddah, le preziose merci provenienti dall’estremo oriente, venivano barattate con preziosi manufatti di argento provenienti dalle colonie spagnole in America, che nel frattempo erano passate nelle mani dei potenti commercianti ottomani. Il porto di Jeddah era anche l’unico scalo possibile per i pellegrini mussulmani provenienti da tutto il mondo e diretti alla Mecca. I pellegrini al rientro nei loro rispettivi paesi, non portavano con se soltanto le acque provenienti dalle sorgenti sacre di Zamzan e di Mecca ma anche prodotti esotici come le porcellane cinesi provenienti dai traffici commerciali del Mar Rosso con la Cina, inoltre articoli di metallo, spezie provenienti dall’India e dalle Molucche, i profumi di Taif; tutti questi prodotti vennero velocemente sparsi e conosciuti in tutto il mondo mussulmano. Intorno al 1700 quello della Cina era uno dei mercati più prestigiosi grazie alla produzione di vasellame in porcellana molto rinomato sia nei paesi arabi che in Europa. Il prezioso caffé yemenita veniva scambiato con porcellane, tessuti e spezie provenienti dall’estremo Oriente importati dalle navi dell’ammiragliato inglese che dai porti prima della Cina e poi dell’India, raggiungevano il porto di Mocha in Yemen da dove poi partivano le navi che raggiungevano gli altri paesi. Il commercio del caffé lungo il Mar Rosso era così importante che rappresentò due terzi del prodotto importato in Egitto a metà del diciottesimo secolo. Al porto di Suez tra settembre e ottobre, i grossi commercianti proprietari di mandrie di veloci cammelli, attendevano notizie sull’arrivo della flotta del caffè in modo da percorrere il più rapidamente possibile i 150 chilometri che li dividevano dalle città del Cairo e di Alessandria da dove si sarebbe imbarcato per raggiungere i mercati turchi e quelli europei. I primi a raggiungere il porto di Alessandria avevano il privilegio di imporre il prezzo di vendita ricavandone così grossi guadagni. Il trasporto via mare di queste merci risultava molto meno costoso e più sicuro di quello via terra i grossi rischi che correvano le navi Nonostante le navi europee navigassero il canale di Suez fin dal 16° secolo, le forti tasse imposte dai mercanti Ottomani, che gestivano i traffici del Mar Rosso e in particolare della potente famiglia dei famiglia Jiddawi che aveva il monopolio del traffico marino nel tratto di mare che dallo Yemen passava dalla costa saudita, precluse una attività continua mentre, furono proprio le flotte di proprietà ottomana che ne monopolizzarono il mercato sino alla fine del 18° secolo. Il declino dell’impero Ottomano e la successiva apertura del canale di Suez, cambiarono di nuovo la storia della navigazione in Mar Rosso ma questa è storia recente. Nuove navi, nuova tecnologia e nuovi interessi sono raccontano oggi la storia di un nuovo Mar Rosso. Le rotte dei sambuchi arabi Attraverso le acque del Mar Rosso gli antichi arabi potevano prendere contatto con l’Egitto e la Persia, due dei più antichi fulcri di civiltà e ricchezza. Oltre l’Arabia verso sud ovest, era facile dirigersi verso l’Africa Orientale e navigare lungo le coste in cerca di prodotti tropicali. A Oriente le coste della Persia guidavano verso l’India, l’Indonesia e la Cina. Ma ancora più importante era il fatto che il Mar Rosso, così come il Golfo Persico, fossero canali naturali nei quali si instrada il traffico tra il bacino mediterraneo e l’Asia orientale. Geograficamente gli arabi erano a cavallo delle due maggiori rotte commerciali del mondo. I vantaggi di questa posizione geografica privilegiata non poterono essere sfruttati pienamente fino all’avvento delle vele di taglio anziché quelle quadrate che permettevano di navigare stringendo il vento. Dovevano anche essere costruite in maniera che fossero particolarmente forti da resistere alle violente raffiche dei monsoni ma tale robustezza era estremamente difficile da ottenere poiché mancava il ferro per fare i chiodi ed era impossibile trovare localmente del legname adatto. Il primo riferimento a questo tipo di nave si trova nelle guerre Persiane di Procopio scritte nel VI secolo. Secondo questo autore le navi percorrevano rotte oceaniche dirette dall’Arabia all’India, sfruttando nel viaggio di andata i monsoni di sudovest da luglio a ottobre e i monsoni di nordest da ottobre a marzo per il ritorno. Comunque il periplus, scritto nel VI secolo, afferma che il viaggio con i monsoni di sudovest (da giugno a ottobre) è pericoloso, come ben sanno i marinai che ai nostri giorni percorrono l’Oceano Indiano, in quanto il vento è generalmente violento e il mare mosso. Al giorno d’oggi e quasi certamente in epoca medioevale, i vascelli arabi di solito salpano dall’Arabia in inverno e dopo aver seguito sottovento la costa di Hadramaut in Yemen, se ne staccano prima di incappare nei monsoni di nordest, da un punto che si trovi abbastanza a nord e a est. I sambuchi moderni diretti in Africa orientale dall’Arabia veleggiano verso sud con il vento di nordest, e ripartono verso il poerto di origine immediatamente prima che inizino i monsoni di sudovest. Tra storia e leggenda Come la maggior parte delle storie di relitti del passato, anche la nostra nave è legata a storie più o meno vere delle quali non è semplice riconoscere il confine tra realtà e leggenda ma questo fa parte della storia delle molte navi sommerse che insieme al loro carico si sono trascinate in fondo al mare anche le loro storie. Approfondendo le informazioni sul nostro relitto, siamo entrati a conoscenza della storia di un famoso pirata che tra la fine del 1600 e gli inizi del 1700 ha navigato le acque del Mar Rosso inizialmente per conto della flotta della casa Reale d’Inghilterra e successivamente ha cominciato a depredare le navi che, cariche di ricchi pellegrini diretti alla Mecca, attraversavano il Mar Rosso. Lui era il famoso pirata William Kidd che a bordo della sua Adventure Galley salpò da Londra nel 1696 diretto in Mar Rosso. Kidd in quel periodo navigava il Mar Rosso e l’Oceano Indiano alla ricerca di navi che gli permettevano di ricavare ricchi bottini che avrebbe poi rivenduto nei maggiori porti. Normalmente oltre al denaro il bottino consisteva in sete preziose provenienti dall’Oriente, armi, oro, argento oltre a ricchi carichi di porcellane provenienti dalla Cina. Purtroppo per lui la sua storia si concluse in fretta dato che venne presto riconosciuto come un temibile pirata non più al servizio della Casa Reale Inglese e quindi ripudiato anche da chi poco tempo prima lo aveva assunto sotto la propria bandiera.


PIANO IMMERSIONE

Nuotando dall’alto, si avrà una visione totale della scena. Si incontrano i primi resti di quello che rimane dello scheletro della nave. Pezzi di legno che emergono come costole fuori dalla sabbia bianca, quasi a volerci indicare la strada per raggiungere il prezioso carico che trasportava. Nuotando con la parete sulla nostra sinistra improvvisamente sulla destra comparirà una enorme macchia scura, si tratta dell’impressionante cumulo di anfore che facevano parte del carico. Una volta raggiunto il punto, rimarremo stupefatti dell’incredibile quantità di anfore accumulate una sopra l’altra e, a differenza delle classiche anfore alle quali siamo normalmente abituati, queste sono di dimensioni decisamente ridotte (non più alte di 30/40 centimetri) e tutte di diversa forma. Alcune con un disegno semplice di forma conica mentre altre di forme molto più elaborate. Possiamo immaginare, visto il ridotto volume, che trasportassero essenze, oli profumati e altre materie semipreziose. Oltre alle anfore, vi sono anche dei bellissimi vasi che venivano utilizzati come bruciatori per l’incenso. Osservandoli attentamente all’interno, vediamo che alla base è presente un tappo a forma di fiore con diverse aperture che permetteva ai carboni ardenti appoggiati sul fondo, di bruciare l’incenso che veniva appoggiato sopra il tappo. Dopo avere osservato l’incredibile carico, incontreremo man mano, il resto del relitto. Sarà sufficiente sollevare un pò di sabbia per rendersi conto che il vero segreto di questa nave è rimasto sepolto lì sotto. Qualche anfora isolata di grosse dimensioni, una moltitudine di cocci di porcellana cinese disegnata a mano sono i pochi segnali che ci rimangono di questo carico. Osservando la scena dall’alto, si potrà avere una visuale più precisa di come fosse strutturata la nave grazie ad una serie costole del fasciame che appartenevano alle sue ordinate. Noteremo che la zona delle anfore è orientata a sud mentre tutti i resti della nave sono rivolti a nord. Considerando che in questa zona del Mar Rosso, i venti predominanti arrivano proprio da nord, è logico supporre che la nave si fosse riparata dietro la lunga parete del reef, all’interno della sua laguna probabilmente per trascorrervi la notte. Alcuni pezzi di legno visibilmente scuri, ci hanno fatto pensare alla possibilità di un incendio a bordo che potrebbe avere decretato il suo affondamento. Terminata l’immersione ci si può portare lungo la parete del reef e seguendola sulla nostra destra, ci riporteremo all’ormeggio della barca.

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