Architettura di Suakin

L’esigenza che spinge una comunità a costruire la propria città, sullo spazio ristretto di un’isola nascosta in una laguna tra mare e deserto, è sicuramente quella di proteggersi e al tempo stesso di assicurarsi il controllo totale sulle attività commerciali che si svolgono tra mare e terra, tra carovane e sambuchi. Un luogo dalla posizione così unica è talmente perfetto da essere destinato a un susseguirsi di conquistatori, giacchè le mire di ogni nuovo arrivato si appunteranno su un tale nodo strategico. E questa è stata la sorte di Suakin, una città che, passando da una dominazione all’altra, ha visto alternarsi periodi di floridi commerci a periodi di decadenza.
Ciascuno dei signori che conquistarono la città ha lasciato leggibile il segno del suo passaggio nell’architettura, dove gli stili si fondono in un insieme armonico e ciascuno stile attinge al precedente e si adatta alla tradizione, al clima e alla luce, ma soprattutto all’unico materiale da costruzione reperibile, il corallo.
Il corallo cerebellare che cresce lungo tutta la costa costituisce, infatti, un ottimo materiale calcareo, poroso per natura e quindi coibentante, facilmente riducibile in blocchi come una arenaria compatta.


La tecnica costruttiva, immutata nei secoli, è la più idonea alle condizioni atmosferiche del luogo: la pietra corallina è isolante e le aperture sono orientate sapientemente in modo da convogliare la brezza marina all’interno delle abitazioni, che risultano così straordinariamente fresche nonostante il clima torrido. La città si sviluppa concentricamente intorno alla moschea, con il mare che la fortifica naturalmente, secondo uno schema che si ripete in altre città del Mar Rosso, come Jeddah, Medina e Sana’a. Risulta assai difficile datare le costruzioni della città, in quanto lo stile architettonico subisce variazioni impercettibili nel tempo: tra quelle databili con certezza, la casa più antica risale al XIII secolo e viene identificata come la casa del mercante Shennawi Behi; lo schema e l’assetto distributivo ricalcano il modello della casa turca.

Le case semplici su un livello sono generalmente costituite da due ambienti distinti: quello pubblico destinato agli uomini, dove venivano trattati gli affari, e quello privato destinato alle donne e alla vita familiare. Nelle case dei ricchi mercanti aumentano gli ambienti, compaiono stucchi e decorazioni ma lo schema con separate funzioni viene sempre rispettato. Il periodo architettonico più rilevante corrisponde alla dominazione turca, sotto la quale Suakin conobbe la sua “epoca d’oro”. La città si espandeva velocemente e la mancanza d’aree disponibili sull’isola (135.000 mq.) comportò la decisione di innalzare le costruzioni su più livelli, talvolta anche in modo azzardato. In questa epoca che va dai primi anni del 1500 a metà del 1800, sono collocabili gli edifici più significativi dei quali oggi si riesce a leggere solamente qualche dettaglio costruttivo. Tra questi dettagli possiamo ancora ammirare l’intarsio arabesco delle mashrabiyah o roshan: le protezioni di legno delle finestre, che avevano la doppia funzione di oscurare dalla luce intensa del giorno lasciando nello stesso tempo passare la brezza e che venivano costruite in legno di tek argentato, appositamente importato da Giava.


Attualmente la città appare quasi totalmente in rovina, anche se ad uno sguardo attento restano ancora leggibili sia il tessuto urbano che alcuni dettagli degli edifici più significativi. Il degrado è da attribuirsi all’abbandono della città avvenuto dai primi del ‘900 fino alla definitiva chiusura delle attività commerciali dovuta alla costruzione della nuova città di Port Sudan, situata 30 miglia più a Nord. Tecnicamente il degrado delle costruzioni è dovuto alla caduta dell’intonaco che rivestiva le facciate, lasciando in questo modo agire gli agenti atmosferici (vento, salsedine, pioggia) che in poco tempo hanno corroso la pietra corallina. La pietra si è sfaldata rapidamente ed i blocchi cadono a pezzi. Restano invece miracolosamente intatte tutte le opere in legno data l’assenza del tarlo che non sopravvive ad un clima arido e torrido come quello di Suakin.
Nel 1972 furono anche varati dall’università di Roma alcuni progetti per il recupero architettonico e urbanistico di Suakin, ma naturalmente le esigenze primarie in un paese dall’economia devastata come il Sudan non sono certo quelle del recupero del patrimonio artistico, ed il progetto rimase quindi sulla carta.
Ciò che sembrava recuperabile nel 1972 oggi è già distrutto e tra pochi anni non resterà nulla della città di Suakin il cui glorioso passato ha segnato la storia della navigazione nel Mar Rosso. 

 

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