Quell’ultimo colpo d’artiglio della Regia Marina nel Mar Rosso eritreo
La situazione in A.O.I. allo scoppio della guerra
I venti di guerra che spiravano nell’estate del 1939 costrinsero il Governo italiano ad esaminare quale sarebbe stato il futuro delle nostre colonie africane nel caso di partecipazione dell’Italia all’eventuale conflitto. Le prospettive non erano particolarmente rosee né per le truppe di terra né per le forze navali. Le prime si trovavano sostanzialmente accerchiate, con gli inglesi presenti a nord ed ovest, in Egitto e Sudan, a sud in Kenya e ad est, seppur separati dal Mar Rosso, in Yemen e nella penisola araba ed i francesi, anch’essi ad oriente, nella Somalia francese, comprendente anche l’importante base navale di Gibuti.
Le seconde si trovavano a fare i conti con le preponderanti forze della Royal Navy presenti a Suez, Port Sudan ed Aden, e nelle basi in India, senza dimenticare la Marine Nationale francese di Gibuti.
La situazione era aggravata dal fatto che, in caso di conflitto contro Gran Bretagna e Francia, sarebbe stato in tutta evidenza difficile rifornire Esercito, Aeronautica e Marina di tutto il necessario per una guerra di lunga durata, vale a dire carburante, pezzi di ricambio, munizioni e personale.
Non è questa l’occasione per descrivere i piani del Ministero della Guerra, talvolta tanto ambiziosi quanto palesemente irrealizzabili, né per raccontare gli eventi bellici che si svolsero in Africa Orientale Italiana.
Ci limiteremo soltanto a raccontare l’episodio che concluse l’attività bellica della Regia Marina in Mar Rosso, con una sintetica descrizione delle navi ivi dislocate, delle perdite subite e dei successi conseguiti. Allo scoppio della guerra erano presenti a Massaua due squadriglie di cacciatorpediniere, altrettante di sommergibili, una squadriglia di motosiluranti, un avviso coloniale, quattro fra torpediniere e cannoniere, un posamine nonché una mezza dozzina di unità ausiliarie (navi cisterna e rimorchiatori).
Leggendo i nomi delle navi, qualsiasi appassionato di storia della nostra Marina si renderà subito conto di come pressoché tutte le unità di superficie fossero tecnologicamente superate per non dire antiquate ed inadatte ad una guerra moderna, come i cacciatorpediniere della 3^ e 5^ squadriglia, le cannoniere Porto Corsini e Biglieri, il posamine Ostia, costruiti nella prima metà degli anni ’20, mentre le due torpediniere Acerbi e Orsini ed i Mas della XXI^ flottiglia risalivano addirittura alla Prima Guerra Mondiale.
Di costruzione più recente erano invece i sommergibili, purtroppo però non idonei ad operare in mari tropicali a causa di gravi difetti di fabbricazione che causarono gravissimi incidenti e persino una perdita.
Delle unità principali di superficie della flotta del Mar Rosso, tranne l’avviso coloniale Eritrea, riuscito a lasciare Massaua arrivando in Estremo Oriente, tutte le altre furono in un modo o nell’altro perdute:
Dei sommergibili se ne persero ben quattro, tutti nel giro delle prime due settimane di guerra: il 15 giugno 1940 il Macallè per incaglio, il 19 giugno il Galilei, catturato dagli inglesi dopo combattimento con la cannoniera Moonstone, il 23 giugno il Torricelli per autoaffondamento dopo combattimento con i ct Kandahar, Karthoum, Kingston e la cannoniera Shoreham, tutti inglesi ed infine, nella notte tra il 23 ed il 24 giugno, il Galvani dopo combattimento con il ct Kimberley e la corvetta Falmouth. Gli altri quattro, Archimede, Galileo Ferraris, Alberto Guglielmotti e Perla riuscirono a sfuggire alla cattura o all’affondamento e, percorrendo il periplo dell’Africa, riuscirono a raggiungere dopo oltre due mesi di navigazione, la base italiana di Betasom a Bordeaux.
A fronte di tutte queste dolorosissime perdite, quali successi ottennero le unità della Regia Marina in Mar Rosso? Ben pochi.
Nel 1940, l’affondamento del cacciatorpediniere Karthoum, ad opera del sommergibile Torricelli (23 giugno) e di due petroliere, la James Stove da parte del sommergibile Galilei (16 giugno) e l’Atlas, da parte del sommergibile Guglielmotti (6 settembre) ed il danneggiamento della cannoniera Shoreham, ancora da parte del Torricelli (23 giugno).
Il danneggiamento del cargo Bhima (19 settembre) fu opera dei bombardieri della nostra aeronautica, mentre quello del cacciatorpediniere Kimberley (21 ottobre), fu dovuto all’azione della batteria costiera Giulietti piazzata sull’isola di Harmil.
Nel 1941 l’unico risultato fu il danneggiamento dell’incrociatore Capetown con i siluri del MAS 213.
La XXI^ Flottiglia MAS
E arriviamo finalmente alla XXI^ Flottiglia MAS o, più precisamente, alla 21^ Squadriglia MAS, di cui tre unità furono le protagoniste dell’ultimo colpo d’artiglio dellaRegia Marina in Mar Rosso.
Costituita ufficialmente il 16 febbraio 1941 sotto il comando del Capitano di Corvetta Tabacco, nell’ambito di una riorganizzazione delle unità veloci presenti a Massaua, comprendeva la 21I^ Squadriglia MAS, con i Mas 204, 206, 210, 213 e 216, la Squadriglia Motoscafi Veloci, con quattro unità della Marina e la Squadriglia Motoscafi, con tre unità cedute dall’Aeronautica. Completavano l’eterogenea linea della Flottiglia alcuni sambuchi. Le uniche unità con un minimo di capacità offensive erano i cinque Mas, in quanto i motoscafi, seppur armati alla meglio con il ricorso alla solita arte italiana dell’arrangiarsi, non erano in condizione di effettuare alcun tipo di attacco navale, mentre i sambuchi avevano compiti logistici.
Inviati in Eritrea nel 1935, nell’ambito della preparazione della guerra d’Abissinia, ma con compiti limitati alla vigilanza ed al collegamento con le isole Dahlak, su alcune delle quali erano stati dislocati piccoli presidi, i Mas erano del tipo Baglietto-S.V.A.N. 12t, e facevano parte di una serie di 15 unità.
La vetustà degli scafi, in legno, e dei motori, il clima tropicale e la mancanza di pezzi di rispetto avevano arrecato tanti e tali danni che nel 1940 una commissione ne propose la radiazione: due erano sempre in secca, gli altri stavano a galla solo grazie a tappi di colate di cemento per chiudere alcune falle negli scafi e non superavano i 10-12 nodi.
Non furono però né radiati né, tantomeno sostituiti, nonostante le promesse di Supermarina e non restò quindi che "arrangiarsi": quattro delle cinque unità furono rimesse in sesto, sbarcando i motori per una revisione radicale in officina e rivestendo lo scafo di rame. La quinta, il Mas 210, era in condizioni talmente precarie che fu oggetto di lavori importanti tanto da non essere più in grado di poter prendere il mare. I vetusti MAS 204, 206, 213 e 216 poterono così tornare operativi. La loro attività si limitò peraltro ad attività di vigilanza notturna antisommergibile, alla ricerca e soccorso di equipaggi di aerei caduti in mare, all’assistenza alle unità maggiori, ai collegamenti con le isole dell’arcipelago delle Dahlak.
Ai primi di aprile 1941 le truppe inglesi stavano oramai dilagando in Eritrea e si approssimavano a Massaua provenendo da due direttrici principali: da ovest, dopo aver sconfitto il 27 marzo le truppe italiane a Cheren, e da nord, lungo la costa. La Royal Navy aveva impegnato varie unità a supporto delle truppe di terra, e tra queste l’incrociatore leggero Capetown (Comandante il Cap. Percival Henry Gwynne) e lo sloop australiano Parramatta (Comandante il Tenente Jefferson H. Walker), che incrociavano a nord delle Dahlak, al largo di Mersa Kuba (16° 17' 0" N, 39° 11' 0" E).
Il 5 aprile, la stazione di vedetta della Regia Marina di Difnein, l’isola più settentrionale delle Dahlak, avvistò l’incrociatore, lo sloop ed altre tre unità e diede l’allarme. La sera di quello stesso giorno partirono da Massaua i Mas 206, 213 e 216, senza però riuscire ad avvistare le navi nemiche. La sera successiva riprovarono i Mas 206 e 213, rispettivamente sotto il comando dei due Guardiamarina Noseda e Valenza e avvistarono le navi nemiche nella notte tra il 6 ed il 7 aprile. Il 206 si portò in posizione di lancio e sganciò entrambi i siluri verso l’unità maggiore, mancando però il bersaglio. Era la mezzanotte passata da poco quando i nostri Mas rientrarono a Massaua. A quanto risulta, non vi fu infatti alcuna reazione del nemico -con ogni probabilità perchè non si era accorto nè della presenza delle due motosiluranti italiane nè del lancio delle torpedini- tanto che le unità britanniche continuarono ad incrociare per l’intera giornata successiva. A questo punto si rende opportuno aprire una breve parentesi. Dall’episodio appena raccontato si possono infatti trarre almeno quattro considerazioni: la prima, che in quel primo scorcio del 1941 non tutte le unità inglesi erano dotate di radar navali, oppure, se li avevano, non erano particolarmente efficienti. La seconda, che, se nelle due principali basi italiane in Eritrea, Massaua ed Assab (ma anche in quelle secondarie, come Nokra nelle Dahlak e Marsa Fatma sulla costa dancala) ci fosse stato un numero maggiore di unità insidiose moderne, si sarebbero potuti ottenere non solo un numero maggiore di successi, ma anche una probabile riduzione del traffico mercantile inglese. La terza che le modifiche fatte ai motori dei MAS, con l’applicazione di silenziatori agli scarichi dei motori erano state più che positive, se le nostre piccole siluranti erano riuscite ad avvicinarsi fra i 300 ed i 500 metri dai bersagli senza essere udite. L’ultima, invece, che la superiorità aerea inglese era diventata totale, tanto da consentire ai MAS di effettuare soltanto operazioni notturne.
Avuta nuovamente conferma della presenza di unità nemiche, alle 21 circa del 7 aprile esce in mare un’altra sezione, composta questa volta dai Mas 213 e 216, gli unici due rimasti con una certa efficienza. Dicevamo, una “certa” efficienza. Infatti, il Mas 216, al cui comando era il Tenente di Vascello Stanislao Ferraro, Comandante della XXI Flottiglia, dopo poco tempo accusa un’avaria al motore di dritta (surriscaldamento delle camicie dei cilindri), tanto da dover essere costretto a procedere a velocità ridotta, senza peraltro rinunciare a cercare le navi avversarie.
All’improvviso la sagoma di una grossa unità, che si rivelò poi essere l’incrociatore Capetown, si staglia contro il cielo all’orizzonte ad una distanza stimata da Ferraro di circa 10.000 metri: sono le ore una e dieci dell’8 aprile. I due Mas vi si dirigono contro, perdendosi però di vista dopo pochi minuti. Il 216, rimesso in modo il motore di dritta nonostante il rischio di grippaggio, tenta un primo attacco, ma a causa dei continui cambiamenti di rotta del bersaglio non riesce a lanciare.
Le manovre dell’incrociatore consentono invece al 213 di avvicinarsi e di portarsi in posizione di lancio. Dopo essere arrivato a circa 500 metri dall’incrociatore, questo cambia ancora rotta, ma il Mas mette i motori avanti tutta, lo insegue, si avvicina ancor di più e, a circa 300 metri, il Guardiamarina Valenza dà finalmente l’ordine “fuori!”. Sono le 2.10 del mattino. Qualche attimo dopo, dal suo 216 il Comandante Ferraro vede un’alta colonna d’acqua innalzarsi dalla fiancata dell’unità nemica, seguita dal sordo rumore dello scoppio del siluro che l’ha colpita. E’ ancora a circa un miglio dal bersaglio, ma decide di tentare ugualmente un attacco per cercare di colpirlo e finirlo. Il motore di destra viene disattivato, si aumenta al massimo la potenza di quello di sinistra, ma è tutto inutile, ormai le navi inglesi sono in allarme, il buio della notte è rischiarato dalle sciabolate dei riflettori e dai bengala, il cielo è solcato dai traccianti. Continuare l’attacco sarebbe soltanto un’azione suicida. Alle 3 in punto Ferraro decide a malincuore di rientrare alla base a velocità ridotta.
Il Mas 216 è solo, dove sarà finito il sezionario 213? Valenza ed il suo equipaggio hanno visto la colonna d’acqua e ben udito lo scoppio del siluro, ma non hanno tempo di esultare: attorno al loro Mas 213, ancora non localizzato, si è scatenato comunque un inferno di traccianti e colpi d’artiglieria sparati a casaccio sia dall’unità colpita che da un’altra che si sta avvicinando rapidamente.
Incrociatore leggero Capetown
Cantiere Cammel Laird, con completamento presso Pembroke Dockyard.
Impostato 23 febbraio 1918,
varato 28 giugno 1919,
in servizio 10 aprile 1922.
Venduto per essere demolito il 5 aprile 1946.
Dislocamento 4.200 t (standard), 5.300 t (a pieno carico)
Dimensioni Lunghezza 138 m , larghezza 13,3 m, pescaggio 4,3 m
Apparato motore Sei caldaie.
Turbine Parsons da 40.000 Shp
Velocità 29,5 nodi
Corazzatura cintura: 25- 76mm, ponte: 25mm
Autonomia 5.900 miglia a 10 nodi
Armamento 5 cannoni singoli da 152 mm, 2 cannoni singoli da 76 mm, 2 cannoni singoli da 40 mm antiaerei, 8 tubi lanciasiluri da 533 mm in due installazioni quadruple (secondo altre fonti, vi erano anche 4 armi da 47 mm e 9 mitragliere antiaeree)
Equipaggio 334
Note Faceva parte delle cinque unità della sottoclasse Carlisle, settima serie della classe “C”, per complessive 28 unità, entrate in servizio alla fine della Prima Guerra mondiale. 14 di esse, delle sottoclassi Caledon, Ceres e Carlisle. Furono rimodernate negli anni ’30 e parteciparono alla 2^ Guerra mondiale, pagando un pesante tributo con 6 unità affondate
Non c’è altro da fare che virare e poi via, alla massima velocità consentita dagli esausti motori, verso sud. Alle 5.40 Valenza riesce a ristabilire il contatto radio con la D.I.C.A.T. di Massaua ed annuncia quell’incredibile successo: “Qui Zeta 13. questa notte alle ore 2.05 abbiamo silurato un incrociatore, colpendolo. Siamo in avaria a dieci miglia a nord di Massaua. Viva l’Italia! Zeta 13”. Sono le 7 del mattino dell’8 aprile quando il Mas 216 si ormeggia a Massaua. Il 213 lo raggiunge un’ora dopo, dopo aver percorso l’ultimo tratto di mare a velocità ridotta per problemi ai motori. La città ed il porto sono sotto il fuoco inglese, c’è solo il tempo di fare rapporto al Comando Marina, prima di provvedere ad autoaffondare i due battelli, come era già stato fatto per gli altri tre Mas. Viene fatta saltare anche la stazione radio di Abd-el-Kader, non prima però di essere riusciti a trasmettere la notizia in madre Patria del siluramento di un incrociatore nemico. Il Capetown, pur colpito a centro nave, non affondò. L’esplosione causò la morte di sette uomini e danni gravi, ma non tanto da pregiudicare la galleggiabilità, probabilmente perchè il siluro, la cui scia sembra essere stata avvistata dall’unità senza che però si potessero mettere in atto manovre atte ad evitare l’impatto, navigava a fior d’acqua. L’incrociatore fu preso a rimorchio dallo sloop australiano Parramatta e trainato a Port Sudan. Da qui, qualche tempo dopo fu rimorchiato a Bombay e sottoposto alle necessarie riparazioni che si conclusero nel maggio 1942, dopo di che fu aggregato al 5° Squadrone incrociatori della Eastern Fleet con base ad Hormuz fino al luglio 1943, quando fu richiamato in Inghilterra. Dopo una serie di lavori di ammodernamento dell’artiglieria contraerea e l’installazione di un radar, partecipò nel giugno 1944 alle operazioni di sbarco in Normandia, per passare tre mesi dopo nella riserva. La sua carriera terminò il 5 aprile 1946, quando fu venduto a privati e successivamente demolito presso i cantieri TW Ward il 2 giugno di quello stesso anno.
Dei Mas della 21^ Squadriglia, compresi quelli che parteciparono a quell’ultima azione, non rimasero che i relitti affondati o semiaffondati e quindi demoliti nei mesi seguenti. Quasi tutti gli equipaggi furono catturati dagli inglesi ed inviati nei vari campi di prigionia fino alla fine della guerra. Per il coraggio e la determinazione dimostrati in occasione dell’attacco, il Guardiamarina Pietro Valenza fu decorato di medaglia d’Argento al Valor Militare. Noi riteniamo giusto ricordare con il Comandante del Mas anche tutti gli altri componenti dell’equipaggio: 2° capo segnalatore Di Ruzza19, 2° capo meccanico Laurenti, sottocapo motorista Montini, sottonocchiere Laurenti, silurista Terraneo, marinaio Sabbatini.
Cosa dire a conclusione di queste note?
Se due vecchi e malandati Mas della prima guerra mondiale riuscirono ad attaccare ripetutamente ed a silurare un incrociatore, c’è da chiedersi cosa sarebbe potuto accadere nel caso in cui la Regia Marina in Eritrea avesse avuto un paio di squadriglie di Mas moderni, tipo Baglietto “500” o delle motosiluranti tipo MS CRDA da 60 t., -magari una ad Assab, e l’altra a Massaua o a Nokra- in grado di intervenire per contrastare il traffico navale nei pressi dello Stretto di Bab el Mandeb e nel braccio di mare tra la costa occidentale yemenita e quella orientale dell’arcipelago delle Dahlak.
Ma la Storia, come tutti sanno, non si fa con i “se”…
Ringraziamenti da parte dell'autore Per l’assiduo aiuto nella ricerca di documenti ed informazioni e per l’accurata analisi critica del testo, non posso non ringraziare Valeria Isacchini, insegnante ed autrice di testi e saggi storici e la signora Marina Pagano, dell’Ufficio Storico della Marina.
Ringrazio anche Vincenzo Fiorillo dell’USMM e Franco Bargoni, uno dei massimi storici della marina italiana, per la disponibilità a concedermi le fotografie che hanno illustrato questo articolo.
Ringraziamenti da parte della redazione del Gazzettino del Mar Rosso Vogliamo innanzitutto ringraziare Vincenzo Meleca autore dell'articolo e la redazione de il Corno d'Africa (http://www.ilcornodafrica.it) per averci concesso la pubblicazione dell'articolo di loro proprietà.