Simone Bergamaschi

Tutto ha avuto inizio molti anni fa, quando ancora frequentavo le scuole elementari.
Erano gli inizi degli anni ’90 e un regista americano di nome Spielberg se ne esce con un film su un professore archeologo con un cappello favoloso, una giacchetta di pelle da avventuriero e una frusta sempre legata alla sua cintura.
Il giorno dopo aver visto “I predatori dell’arca perduta” ho capito cosa volevo fare da grande. Così la mattina seguente andai a scuola, mi presentai alla maestra e le dissi: “Da grande voglio fare Indiana Jones”
Con quel nome identificavo quel tipo di vita. Una vita di avventure, scoperte, intuizioni, viaggi
incredibili e quello spirito di adattamento che ti fa sentire parte del mondo anche nelle più grandi scomodità. Accendere fuochi, dormire per terra in mezzo alla giungla, entrare in contatto con popolazioni lontane dalla mia cultura ma dalle quali, nonostante i miei otto anni di vita, mi sentivo estremamente attratto.
Per questo motivo, crescendo, ho scelto di leggere, scrivere, studiare letteratura e trovare nella fotografia il mezzo che mi avrebbe permesso di accedere a tutto ciò.
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di visitare posti incredibili, alcuni pericolosi, altri meno, alcuni difficili da sopportare ed altri nei quali non sarei voluto tornare ma tutti luoghi che hanno esercitato un grande fascino.
Ho avuto la fortuna di stare in Africa in un piccolo villaggio del Burkina Faso, di attraversare l’Europa sulle rotte dei migranti inseguendo sui treni i loro spostamenti, di vedere la magnificenza di Calcutta e delle sue enormi contraddizioni. Sono stato in paesi millenari sulle sponde del fiume Tigri, ho camminato tra le mura di Gerusalemme perdendomi nei suoi profumati, colorati e vibranti vicoli. Ho parlato con la gente di Donetsk (Donbass), ho camminato sulle macerie dei loro quartieri distrutti da una guerra ignorata dall’occidente e ho sentito dalle loro voci e visto nei loro occhi l’incredibile senso di appartenenza.
Sono stato in Nepal durante il terremoto e l’ho visto risollevarsi due anni dopo, scoprendo l’anima di una popolazione che neppure nelle sue ore più buie è riuscita a perdere il sorriso.  
La scoperta e il viaggio hanno per me il gusto stesso della mia vita; é qualcosa che nasce dentro e che non puoi non ascoltare. Una pulsione, una vocazione, una sorta di rito religioso che ogni volta mi spinge a scendere dalla scaletta dell’aereo, e come primo gesto, respirare a pieni polmoni il profumo della nuova terra.
E’ questo il modo migliore che ha la terra di darti il benvenuto, con i suoi profumi!
E io non posso e non voglio smettere di respirare.

simone

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