LA SINAGOGA DI ASMARA

Ho deciso la destinazione del mio viaggio all’ultimo momento. Un attimo, una breve esitazione e son partita. Mi sono aggregata a un piccolo gruppo. Il tempo di strappare il visto d’ingresso e partire. Senza conoscere bene il programma, ancor meno di trovar tempo per documentarmi meglio prima di partire, come solitamente amo fare. Attratta dalla prospettiva di fare un workshop fotografico, sono felicissima di aver partecipato a questo piccolo miracolo: un’avventura che, per me, e mi pare pure per gli altri, si è rilevata molto più affascinante del previsto. Un pomeriggio… girovagando per il centro, completamente rapiti dalla smania fotografica, voltiamo in una stradina laterale ad Harnet Avenue e notiamo un po’ defilata, quasi nascosta, una piccola Sinagoga. Solitaria, fiera. Il sole comincia a calare, il cielo è tinto d’indaco, come sempre, nei giorni fin lì trascorsi ad Asmara, la luce perfetta per le fotografie. Continuo a scattare e comincio a fotografare questo gioiellino architettonico, piccolo, ma non per questo meno interessante rispetto ai grandi luoghi di culto delle vicinanze. La cattedrale copta di N’da Mariam che domina il centro città dall’alto della collina, la grande moschea di Kulafah Al Rashidin e la cattedrale cattolica, in pure stile lombardo, dedicata alla Madonna del Rosario nella centralissima Harnet Avenue, che molti anziani Asmarini si ostinano ancora a chiamare con il vecchio nome italiano ‘Viale delle Palme’. Preferisco il vecchio nome, fa un po’ sognare, ed è effettivamente un meraviglioso viale costeggiato da palme e da larghi marciapiedi, perfetti per il passeggio ozioso.

La Sinagoga rimane invece laterale alla stradina più stretta, protetta da una cancellata in ferro battuto decorata con motivi d’ispirazione religiosa ebraica. Il contrasto tra la cancellata scura, la facciata rivestita da piccole tessere di mosaico chiare e il cielo limpidissimo, indaco, è semplicemente meraviglioso. Mentre scatto fotografie, sento dietro di noi una persona. Si avvicina e ci rivolge la parola. Si presenta così il rabbino Cohen, che, fortuna vuole, passa proprio in quel momento. Ci chiede da dove veniamo. Curioso e gentilissimo ci invita ad entrare.  Apre e richiude il cancello con una catena e lucchetto alle nostre spalle. Ci illustra dapprima l’esterno e comincia a spiegare quando è stata costruita la Sinagoga, nel 1905. La facciata simmetrica ha un rosone centrale e due nicchie laterali, in una vi è raffigurata la Menorah, il candelabro ebraico a sette braccia e nell’altra la Torah, la tavola della legge ebraica. Ci fa entrare all’interno passando dalla porta laterale (il portone principale sotto al rosone è aperto solo per le funzioni ufficiali) passando da un piccolo vano pieno di libri e testi sacri. Offre e chiede ai nostri accompagnatori maschi di indossare il kippah, il tradizionale copricapo usato dagli osservanti ebrei maschi all’interno dei luoghi di culto. Continua ad accendere luci per farci vedere e fotografare meglio. E’ pieno di lampadari, di diverse fatture e provenienze.

Cohen è una sorta di factotum tuttofare, custode della Sinagoga. Si occupa di tutto, dalla banale sostituzione delle lampadine (non un’occupazione da poco: ce ne sono veramente tante! alla manutenzione più sostanziosa. Le panche sistemate a forma di cavallo riempiono questo piccolo spazio sacro quadrato. Ci sediamo e Cohen (che ci tiene molto a precisare di essere suddito di Sua Maestà Britannica), continua a raccontarci la storia a partire da quando i primi ebrei arrivarono ad Asmara alla fine dell’Ottocento provenienti per lo più dallo Yemen e da Aden, all’epoca possedimento britannico. Apre le finestre. Una di fronte all’altra, posizionate ai lati della Sinagoga. Rimango incantata dal gioco di luci e ombre offerte dai vetri, in parte colorati. La luce trafigge le vecchie finestre di fronte alle inferriate in ferro battuto con la Stella di David al centro. Ascolto il nostro Cicerone che racconta con grande entusiasmo, ma la mia mente comincia a vagare tra quel poco che conosco della religione ebraica, i film che ho visto, i libri che ho letto, gli autori ebrei che adoro.

Cohen è una sorta di factotum tuttofare, custode della Sinagoga. Si occupa di tutto, dalla banale sostituzione delle lampadine (non un’occupazione da poco: ce ne sono veramente tante! alla manutenzione più sostanziosa. Le panche sistemate a forma di cavallo riempiono questo piccolo spazio sacro quadrato. Ci sediamo e Cohen (che ci tiene molto a precisare di essere suddito di Sua Maestà Britannica), continua a raccontarci la storia a partire da quando i primi ebrei arrivarono ad Asmara alla fine dell’Ottocento provenienti per lo più dallo Yemen e da Aden, all’epoca possedimento britannico. Apre le finestre. Una di fronte all’altra, posizionate ai lati della Sinagoga. Rimango incantata dal gioco di luci e ombre offerte dai vetri, in parte colorati. La luce trafigge le vecchie finestre di fronte alle inferriate in ferro battuto con la Stella di David al centro. Ascolto il nostro Cicerone che racconta con grande entusiasmo, ma la mia mente comincia a vagare tra quel poco che conosco della religione ebraica, i film che ho visto, i libri che ho letto, gli autori ebrei che adoro.

Parla un italiano quasi perfetto. Mi chiedo come faccia. Ad Asmara, senti certamente molte persone parlare un buon italiano, soprattutto anziani, ma lui lo parla in modo corretto e colto. Veniamo a sapere che ha studiato e si è laureato in Economia e Commercio a Bologna, altra ragione per cui è molto legato alla nostra terra. Ogni anno visita il nostro bel paese. Prosegue nei racconti sulla storia degli ebrei in Eritrea, nella vicina Etiopia ed in Sudan, parla dei vari esodi, dell’operazione Saba, l’operazione Mosè e l’operazione Salomone. Di quest’ultima mi regala una copia del Jerusalem Post: ne sono contenta, me lo potrò leggere con calma. Da quando c’è stato il colpo di stato e Menghistu è salito al potere instaurando una dittatura di stampo marxista, le cose sono molto cambiate per loro. Ci sono state le persecuzioni maggiori, soprattutto in Etiopia e migliaia di loro sono riusciti a fuggire, passando dal Sudan e poi attraverso ponti aerei, in Israele. Negli anni ’70-’90 ci sono stati i maggiori esodi per gli ebrei, migliaia e migliaia, in particolare per gli ebrei di origine falasha. Ci mostra il locale con le vasche che una volta era usato per la purificazione delle donne ed ora misero deposito. Poi saliamo le scale, oltrepassando un portone color azzurro, per visitare il soppalco dove sedevano le donne, sopra al portone principale, passando sotto ad una porticina piccola piccola. Dobbiamo chinarci. Ma erano così piccoline le donne? Fuori dalla Sinagoga, ai due lati del cortile, ci sono rispettivamente due locali pieni di libri, fotografie, materiale e documentazione sulla storia ebraica, oltre a ricordini vari. Un pot pourri di oggettistica vintage. Molti poster appesi alle pareti. Ce n’è uno anche di Giorgio Perlasca. Fascista che aiutò migliaia ebrei a scappare attraverso l’Ambasciata in Ungheria. Bellissimo il libro e meravigliosa pure l’interpretazione di Luca Zingaretti nel film che uscì in due puntate sulla RAI qualche anno fa. Tante fotografie incorniciate. Una illustra il presidente dell’Eritrea con i capi delle quattro religioni rappresentate ad Asmara, la Copta, la Cattolica, la Mussulmana e l’Ebraica. Un’altra rappresenta il centenario della Sinagoga. Un’altra ancora il giorno dell’indipendenza dello Stato d’Israele, ecc. Tra tutte quelle ufficiali spicca, fiera, quella di Sua Maestà la Regina Elisabetta II.

Da buon suddito, Mr. Cohen ci spiega quanto sia orgoglioso di essere cittadino britannico. Ci rendiamo quindi conto di come sia volato il tempo. Forse un paio d’ore? L’incontro fortuito e del tutto fuori programma con il rabbino mi ha fatto aumentare la voglia di visitare Gerusalemme. Non ce ne andiamo prima di lasciare un nostro ringraziamento nel libro della Sinagoga. Colmi di questo full immersion ebraico, ci incamminiamo per andare a cena all’Albergo Italia. Altro capitolo, altra storia. Domani, ci sarà il viaggio in treno in terza classe… Ma anche questo è un altro racconto…

Testo di Maria Vittoria Rocchi
Foto MilleBattute

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