Per vedere e capire l’Etiopia non basta una vita. Per raccontare un viaggio in Etiopia non basterebbe un libro. Non sarà sufficiente osservare solo con gli occhi ma servirà un grande cuore per conoscere questo paese e la sua gente. Per me questo viaggio, da poco terminato, è solo l’inizio di un percorso duraturo e stimolante che proseguirà in futuro, spero in compagnia di coloro che avranno la voglia e la curiosità di seguirci in questa avventura.L’Etiopia non è un paese facile, in qualsiasi modo lo si affronti, è un paese di forti emozioni e sorprese disarmanti, ma tutte guadagnate con tanto sudore e nuvole di polvere. Ciò che la rende unica è l’estrema varietà geografica e l’asprezza del suo territorio. Le difficoltà negli spostamenti e nelle comunicazioni hanno contribuito a preservare le culture millenarie e le fortissime tradizioni di questo popolo che potrebbe esser parafrasato in “uno, nessuno e centomila” per fusione di abitudini, miscela di credenze, lingue e religioni.Negli altipiani a nord incontriamo la roccaforte della tradizione cristiano copta, i deserti della Dancalia sono invece il centro degli Afar musulmani mentre a sud ci si imbatterà nelle arcaiche e preistoriche religioni animiste. In Etiopia si parlano 286 dialetti, vivono circa 80 etnie differenti, ma i problemi quotidiani sono gli stessi per tutti. Gli etiopi si vantano di essere l’unico paese africano mai colonizzato se si escludono i pochi anni di “illusoria supremazia italiana” durante il periodo fascista. I motivi della mancata colonizzazione sono tutt’oggi evidenti: vie di comunicazione in condizioni disastrose se non addirittura inesistenti, malattie “mai conosciute dall’uomo bianco”, incomunicabilità linguistica.
Le prime spedizioni coloniali italiane venivano mascherate sottoforma di spedizioni geografico-esplorative, che il più delle volte si sono concluse per mancanza di mezzi, di viveri e di conoscenza del territorio. Abbiamo così scoperto, con inammissibile ritardo, che se tutto questo fosse stato evitato, il popolo etiope ne avrebbe sicuramente beneficiato.Ancora oggi un viaggio in Etiopia è formativo per chi prova a viverlo con mente aperta e per chi è abituato a fare uso di grande spirito di adattamento. Tutte le esplorazioni del territorio partono dalla capitale Addis Abeba, “il nuovo fiore”, traduzione letterale dalla lingua amarica, che si trova sull’altopiano etiopico a una altitudine di 2.400 metri. Addis è la classica metropoli africana: urbanizzata senza regole, polverosa, inquinata e non del tutto pulita. Offre di contro alcuni scorci di vita reale e spaccati di tipica quotidianità africana. E’ una capitale priva di vero significato di potere, al centro di una nazione i cui confini sono così distanti da essere ingovernabili; irraggiungibili per poter stare sotto l’ala protettrice di qualsiasi controllo. In questa nazione le città degne di tale nome sono ben poche, tre o quattro in tutto, con 80 milioni circa di cittadini dispersi sul vasto territorio. Non esiste una vera pianura ma il vasto altopiano centrale, le altissime montagne del Simien (fino a 4.000 metri), i bassopiani del sud e la depressione torrida e inospitale della Dancalia.
Appena lasciamo Addis è evidente che si abbandona ogni segno di civiltà.” Lasciate ogni speranza voi che uscite”, citando Dante al contrario. Che si vada a nord, a sud o altrove si percepisce in modo netto un senso di abbandono del nostro mondo per entrare in un “altro” mondo. Questa volta abbiamo scelto il tragitto che ci porterà a sud, a conoscere Tarkina
VITA DI STRADA E CULTURA DELLA FATICAL’Etiopia del Sud è universalmente nota per essere stata la culla dell’umanità. Qui il genere umano ha mosso i suoi primi ed incerti passi. Qui sono nati la preistoria, la storia del mondo prima e anche quella dell’uomo poi.Esistono popolazioni al confine con il Kenya, nella zona del lago Turkana, che fino a 30 anni fa erano a noi sconosciute così come noi eravamo per loro perfetti sconosciuti. Poi abbiamo invaso i loro territori, abbiamo preteso “un posto al sole”, come se la loro casa fosse anche la nostra, come se tutto fosse dovuto. Abbiamo fornito armi e medicine, convinti che avessero bisogno di entrambe. Abbiamo preteso di insegnare cose che conoscevano meglio di noi. Gli stessi generali italiani inviati da Crispi e Vittorio Emanuele li descrivevano così: “questi indigeni sono scaltri e ospitali, fanno domande intelligenti e danno risposte ancor più furbe”.Già da queste parole avremmo dovuto capire che sarebbe stato meglio invertire la marcia e tornare a casa. Ma la storia ha invece fatto il suo corso.La gente vive in strada e vive la strada, vive la natura immersa nella natura. L’africano ha modellato se stesso per inserirsi al meglio nell’ambiente che lo circonda, per vivere al ritmo della natura, il tempo della luce e del buio. Anche l’ora in Etiopia è diversa, le sei della mattina sono l’ora zero, l’inizio della giornata, non la mezzanotte come per noi. Il tempo dell’alba e quello del tramonto. Nessuno ha orologi al polso, l’orologio è biologico.Una donna etiope che deve raggiungere il pozzo per prendere l’acqua non si domanderà mai quanto tempo ci vuole. Ci va e basta. Sotto il sole, a piedi nudi, per molti chilometri con in spalla il prezioso carico. Anche qui, sono le donne a fare il lavoro sporco. Enormi fascine di legna, sacchi di patate, giare di acqua, sembrano muoversi da soli sul ciglio della strada. Sotto questi carichi si intravede a malapena la sagoma minuta, stanca e piegata di una donna o di una mamma, spesso anche di una bambina.
Donne che si recano al mercato settimanale, centro della vita qui nel sud. Ogni etnia ha il suo mercato. Il lunedì a Turmi, il mercoledì a Key Afer e la domenica a Dimeka. Il mercato inizia dopo le 11.00 del mattino e non potrebbe essere diversamente. Alle prime luci dell’alba tutti si mettono in marcia per comprare e vendere. Le strade, i sentieri, le mulattiere, vengono inondate da un fiume di persone. Generi alimentari di base, legna, pelli e piccoli manufatti sono gli oggetti della compravendita. Per tutti il giorno di mercato è un giorno di cammino. Molte ore per arrivare, poco tempo per gli affari e molte ore per tornare indietro. Il senso occidentale della fatica fisica impallidisce e sfigura di fronte al bambino Hamer che porta quotidianamente sulle spalle il peso della sua povertà. Qui la natura non regala nulla, ma nonostante ciò tutti gli africani la rispettano e la mantengono. Le piante diventano medicine, gli animali sono curati e accuditi come persone umane. Greggi di mucche tutte pelle e ossa e caprette spelacchiate invadono le strade a ogni ora del giorno. E se una jeep di turisti dovesse investire un animale, il conducente è obbligato a risarcire il danno al pastore. In pochi altri posti al mondo ho apprezzato l’altissimo valore che viene dato a tutte le cose, vive o inanimate che siano. L’acqua è preziosissima, le erbe e gli animali altrettanto.
Abituati a usare, consumare e gettare via, noi “civili” abbiamo perso una scala di valori equa e sostenibile. Gli etiopi non buttano via nulla. Bambini che corrono dietro alle poche macchine per ricevere in dono una preziosa bottiglia di plastica vuota, botteghe di artigiani straripanti di vecchie gomme di camion, abili calzolai che trasformano e danno nuova vita alla gomma costruendo calzature destinate a durare per intere generazioni. Ad Addis ho regalato le mie scarpe ormai ridotte all'osso al custode di una piccola pensione. Quelle che aveva ai suoi piedi non si potevano definire tali, nemmeno con abuso di fantasia. Appena ricevute le mie scarpe mi ha baciato le mani a lungo, ringraziandomi fino allo sfinimento. E più mi ringraziava e più mi sentivo stranito. Quello che ognuno di noi getta in un giorno basterebbe a sfamare un’intera famiglia etiope per una settimana. Fortuna loro che la scarsità di tutto li ha abituati alla parsimonia e alla gestione oculata delle poche risorse. Nel nostro viaggio abbiamo vissuto tanto tempo in strada condividendo con la gente la loro quotidianità. Abbiamo imparato a comprenderla e ad apprezzarla.In nessun altro luogo al mondo sono mai stato così oggetto di curiosità, di gioco e di sorrisi. Passeggiare per un mercato di strada è un’esperienza forte e divertente allo stesso tempo. Entrare da solo e uscire seguito da un corteo di cento bambini curiosi e festanti è stato davvero emozionante. La loro curiosità è genuina, così come il mio sorriso per loro. A me chiedevano solo un po’ di attenzione, volevano tirarmi i peli delle braccia, volevano un bacio, un sorriso, una caramella o una penna per scrivere.Ma di questo ne parleremo meglio in seguito. Nel prossimo episodio vi racconterò del Nechisar Park e del lago Chamo, la casa degli enormi coccodrilli del Nilo.
Testo e foto di Giovanni Miceli