IN VIAGGIO CON JAMPA

La Compagnia del mar Rosso sbarca in Cina!! O meglio sbarca in Xizan, Regione Autonoma del Tibet.Noi, “sapore di sale, sapore di mare” e “stessa spiaggia, stesso mare”.Noi, amanti degli estremi, dai -50 metri della punta nord di Sanganeb ai + 3.650 metri di Lhasa, capoluogo e città simbolo del Tibet.Dai branchi di squali martello alle mandrie di yak come se nulla fosse. Per la verità non proprio come se nulla fosse dato che lo sbalzo di altitudine ci toglie il fiato in tutti i sensi. Una volta aperte le porte dell’aereo, una sorta di narcosi ci pervade e, per percorrere la rampa di uscita, dobbiamo fermarci a riposare. Mancanza di ossigeno? Forse siamo troppo abituati all'aria delle bombole per saper respirare l'aria di alta montagna.A Lhasa il mitico Jampa ci ha accolti come fratelli mostrandoci il vero Tibet e  la sua gente. Guardare, vivere e poter rapidamente comprendere questa affascinante cultura non è da tutti. Iniziamo sfatando alcuni luoghi comuni: tutti pensano al “tetto del mondo” come a un luogo freddo e totalmente innevato. Nulla di più falso!! A giugno il clima è splendido, sole caldo e aria secca; certo la neve c’è, ma solo oltre i 5.300 metri. Durante le ore centrali si raggiungono tranquillamente i 30 gradi. Rimango molto colpito da questo clima così mite ma soprattutto dalla sua fantastica luce, in particolare durante le ore del tramonto. Questo succede perché a Lhasa è stata istituita la stessa ora di Pechino (così ha deciso il “laoban”, cioè il governo centrale), allungando la giornata luminosa fino alle nove e mezza di sera. E che luce! Ombre che si allungano per metri e metri, i volti delle persone che sembrano scolpiti dai raggi obliqui del sole. Le montagne pennellate con tutte le sfumature del marrone, del verde e del grigio. Sembrano vive tanto hanno i contorni ben delineati.

La città di Lhasa è stata occupata dai cinesi, una invasione non richiesta e tanto meno gradita dal popolo tibetano. Però la questione politica la tralascerei dando la libertà ad ognuno di trarre le proprie conclusioni, una cosa certa sulla quale posso garantire di persona, avendola vissuta direttamente riguarda la sicurezza del posto. In città si respira un’aria magica. Centinaia di pellegrini girano a piedi scalzi, rigorosamente in senso orario, intorno al tempio del Jokang, importante luogo di culto per tutti i buddisti del mondo. Eseguono le loro prostrazioni e le preghiere, in una atmosfera mistica e rilassata.

I kora, così si definiscono i pellegrinaggi a piedi, sono l’essenza della religione e della vita dei buddisti. I kora si possono eseguire intorno al tempio, all’interno del tempio, intorno agli stupa (reliquiari) e addirittura intorno ai laghi e alle montagne sacre. Il Kora permette ai fedeli di acquisire “meriti” e tutti, bambini e anziani compresi ne sono assoluti protagonisti manifestando estremo rispetto per le persone. Rimango impressionato dai visi sorridenti e rilassati che incontro ovunque. Il tibetano sorride al suo vicino ma sorride anche ai pochi stranieri che passeggiano per le strade della città. Visitiamo il tempio del Jokang e il maestoso palazzo del Potala, residenza dei Dalai Lama. Il Potala è magnifico anche se assediato da turisti in maggioranza cinesi. Il Potala è il simbolo religioso per eccellenza e al suo interno è passata la storia del buddismo e di tutti i monaci che vi hanno vissuto. I Monaci  sono l’essenza e il simbolo vivente della filosofia tibetana.

A Lhasa e in tutto il Tibet vi sono innumerevoli monasteri femminili dove riusciamo ad infiltrarci nel monastero Hani Gumpa di Lhasa e avere il privilegio di conoscere le “sorelle” che lo abitano. Hani Lun ci abbaglia con il suo sorriso e la sua cortesia innata, ci offre un fugace pranzo e noi le promettiamo di tornare a trovarla presto. Cammino senza meta per gli angusti vicoletti della città vecchia, tra botteghe, venditori ambulanti di burro e carne di yak, mi perdo e mi ritrovo, assaporo l’aria sincera di questo mercato locale e vivo questo meraviglioso privilegio come un sogno.Per un istante ho la sensazione di essere in Egitto quando finiamo nel quartiere musulmano dove svetta la vecchia moschea e dove vivono gli Hui, una delle 55 minoranze etniche che popolano la Cina. Ci fermiamo con un gruppetto di “baggers” nome con il quale si indicano i mendicanti di strada e con molta gioia offriamo loro il pranzo. I sorrisi dei bambini che riceviamo in cambio non hanno prezzo; i loro volti lentigginosi e  bruciacchiati dal sole trasmettono una sana allegria contagiosa. Da queste parti l’elemosina è stile di vita, la gente chiede l’elemosina per poter mangiare durante la giornata, non per accumulare denari. Domani poi è un altro giorno.

Comincio ad avere un problema: non mi sento un turista, sono integrato nella vita di questa gente perchè sono loro a permettermi di provare queste sensazioni così forti. Mi piacerebbe condividere con tutti i viaggiatori questa meravigliosa sensazione perchè è da qui che inizia il vero percorso verso la conoscenza del luogo.Siamo ancora a Lhasa e stiamo per iniziare il viaggio verso queste terre remote per incontrare i nomadi Drogpa, per poi dirigerci verso le alte montagne e i monasteri di eremitaggio scavati nella roccia. Ci attendono tanti “La”, i mitici passi di montagna. E non si scherza visto che sono tutti compresi tra i 4.500 e i 5.400 metri. Le strade sono sorprendentemente in ottime condizioni, una delle buone azioni dei cinesi. Anche se sterrate sono ben percorribili e lisce, ricche di curve ma per questo molto suggestive.Uscendo da Lhasa ci dirigiamo verso sud e, attraverso il passo del Khampa-La costeggiamo le rive dello Yam Drok-Tso, un fantastico lago dalle acque turchesi, incastonato tra altissime e innevate montagne.

Lungo la strada bande di ragazzini nomadi si lavano nelle acque del fiume. Oggi è domenica, giorno di festa e di lavaggio. L'imponente ghiacciaio del Nien Tching Gang Sa ci fa da angelo custode, con i suoi mille crepacci e le nevi eterne con tutte le sfumature dal bianco al blu passando per gli azzurri. Un cielo blu pennellato di poche nuvole è l’unico tetto sulla testa del nomade Drogpa che incontriamo lungo la strada. Due yak e poche pecore, seduto al sole con un  misero pranzo il Drogpa ci costringe a fermarci per offrirci la sua carne secca di yak. Accettiamo volentieri e scopro un sapore finissimo che mi ricorda il prosciutto di San Daniele o qualcosa di simile. Rimarrei con lui tutta la giornata, ma dobbiamo proseguire.

Arriviamo a Gyantse e visitiamo il suo Kumbum, un particolare monastero con pianta a spirale. Le decorazioni e le statue di Buddha e dei Protettori che si trovano all'interno sono magnifiche e in ottimo stato di conservazione. A Gyantse assaggio la tsampa, una farina d’orzo che i tibetani usano un po’ dappertutto. La farina è alla base di tutte le alimentazioni dei paesi poveri, in qualsiasi parte del parte mondo ci si trovi. Per il resto carne di yak, yogurt di yak, thè con burro di yak e poi ancora yak, yak e ancora yak. Il cibo comunque è saporito ma non eccessivamente speziato, è  semplice ma con sapori più genuini della tipica cucina cinese del vicino Sichuan. Si usano anche vegetali che vengono coltivati in serra nelle poche vallate incastonate tra le montagne che sembrano dipinte grazie ai giochi di luce e ombra del sole e delle nuvole. Il tempo da queste parti  può cambiare  rapidamente. Il campo tendato ai piedi del  Monte Chomokangar a 6.058 metri sembra un miraggio nel deserto, quando lo intravvediamo  comparire e poi scomparire tra una curva e l’altra della strada che stiamo percorrendo. Un puntino disperso in un mare di verdi pascoli tra mandrie di yak, greggi di pecore e le curiose caprette tibetane che amano curiosare all’interno delle nostre tende ogni volta che  transitano nelle vicinanze. Sono una gradita compagnia anche durante la nostra merenda pomeridiana preparata dentro la tenda ristorante dopo aver attraversato il Sugu-La a 5.300 metri di altitudine. Anche i nomadi delle tende vicine sono molto interessati alla nostra merenda, in particolare i bambini affabili e per nulla timidi, con i quali condividiamo volentieri il nostro cibo. Ricambiano la nostra ospitalità invitandoci nella loro tenda nera di pelo di yak e  manco a dirlo indossano tipici abiti in pelo di yak. L’interno della tenda è caldo e accogliente, al centro si trova il focolare e tutta la famiglia seduta in cerchio che ci fa sentire ospiti graditi e rispettati.

In alcune di queste famiglie viene ancora praticata la vecchia usanza Drogpa della poliandria adelfica ovvero che quando una donna sposa un uomo, automaticamente si unisce anche ai suoi fratelli con tutte le conseguenze del caso. E tutti vivono più o meno armoniosamente insieme, visto che parliamo di popoli nomadi di indole non sempre tranquilla. Non dimentichiamoci che queste popolazioni sono abituate a vivere sopra i 4.000 metri e ad affrontare avversità climatiche notevoli. Sono discendenti diretti dei Quechua del centro-sud America, che hanno raggiunto la Cina attraversando a nord lo stretto di Bering, non a caso i loro caratteri somatici sono molto simili agli andini. I Drogpa hanno i classici atteggiamenti dei popoli di alta montagna: rudi ma sinceri, semplici ma diretti. Non si arrendono mai e vivono sorridendo con le poche cose che la natura gli offre. Qualche cellulare scassato tenuto insieme con lo spago compare qua e là, pessimo risvolto della globalizzazione e della presenza non richiesta dei cinesi in Tibet ma siamo ben distanti dall'inquinamento dei popoli occidentali. I loro ritmi di vita così pacati e sereni dovrebbero essere un importante insegnamento per noi uomini abituati a correre, così come il silenzio assoluto di questa magica notte e una stellata fantastica che avvolge le nostre teste. Svegliarsi la mattina e trovarsi di fronte al frastagliato ghiacciaio del Chomokangar è una sensazione bellissima che da sola vale questo viaggio ai confini del mondo.Ultima tappa del nostro “kora” è il Nam Tso, uno dei quattro laghi tanto sacri ai tibetani situato a 4.800 metri, eredità del preistorico Mare di Tetide che occupava l’altopiano Himalayano prima dello scontro tra la placche terrestri. Non è raro imbattersi in venditori di conchiglie, di corallo rosso e fossili marini, quantomeno curioso a queste altitudini. Il lago salato è molto esteso ma, trattandosi di luogo di culto è vietato pescare, navigare o fare il bagno. Basti pensare che i fedeli più ferventi compiono il Kora (giro) intorno al perimetro del lago, impiegandoci circa 2 mesi. Si racconta che vi sia qualche fedele che lo aggiri prostrandosi impiegandoci due anni. Al di fuori da ogni nostra idea di tempo e spazio.

Un tramonto infuocato fa da cornice alla nostra cena e ci ricorda che questa è l’ultima notte che trascorreremo fuori dal mondo. Il ritorna a Lhasa è ormai imminente, anche se questo non sarà motivo di tristezza. Il Monastero di eremitaggio di Drak Yerpa poco fuori Lhasa, sarà il nostro ultimo saluto a questa magica terra. Un saluto non privo di fatica considerando l’impressionante numero di gradini necessari per raggiungere l’eremo. Ma è giusto così altrimenti che eremiti sarebbero?I monaci ci accolgono con un sorriso smagliante nonostante i soli due denti rimasti, come sempre con gioia e cordialità. Ognuno di loro ha per dimora una piccola grotta naturale scavata nella roccia, un semplice giaciglio, qualche tazza di riso e il thermos del thè. E poi le elemosine dei pellegrini che li aiuteranno a sopravvivere. Così vivono, da anni, dopo un’intera esistenza monastica. Su di loro circolano storie fantastiche più vicine alla fantascienza che alla realt:, c'è chi dice di averli visti infilzati da spade, chi crede che possano lievitare a mezzo metro da terra. Una cosa è certa, non si tratta certo di persone comuni! Con la loro stretta di mano termina il mio viaggio in Tibet. Porto a casa con me ricordi ed emozioni palpabili che mi accompagneranno a lungo. I volti bruciati dal sole, le prostrazioni dei fedeli, i dolci lineamenti di Kunga Lamu la ragazzina mendicante, la lezione di medicina tibetana di Tashi, i sorrisi delle monache di Lhasa con la loro ironia e la compagnia dei nomadi Drogpa. Infine l’ottimo filetto di yak della mia ultima cena a Lhasa sulla terrazza del Mandala con vista panoramica su una splendida città, viva, emozionante e circondata dalle montagne più alte e belle del mondo.Questo primo viaggio in terra tibetana è stato per me una grande lezione di semplicità e di umiltà. Noi uomini golosi di scoperta, avidi di novità e mossi dalla voglia di contatto umano, portiamo a casa una lezione di vita unica e irripetibile.

Tashidelek Jampa. Tashidelek Tibet

Testo e Foto di Giovanni Miceli

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