Compensazione |
Ricordo ancora il muro dei 38/40 metri!
Non c’era verso di passare quella quota… per ben otto mesi mi sono scaraventato
contro quella parete d’acqua che inesorabilmente mi rispediva indietro.
Provavo il richiamo del diaframma, ma appena aprivo le vie aeree per compensare
mi trovavo con la maschera incollata al volto ed una strana sensazione a metà
sterno che imponeva la virata.
Se provavo a spingere oltre la quota limite immancabilmente all’uscita notavo
espectorato roseo nella saliva che indicava l’edema polmonare.
Dal 2003 mi sono trasferito al mare ed ho avuto occasione di fare molta pratica
in apnea con oltre 4000 tuffi all’anno per ben cinque anni. Questa condizione mi
ha permesso di lavorare molto sul rilassamento in acqua, sull’adattamento alla
pressione e sulle tecniche di compensazione.
Premetto che quanto contenuto nelle seguenti righe è frutto di esperienze ed
osservazioni soggettive e di confronti con molti altri apneisti di alto livello,
ma non è in nessun modo supportato da teorie scientifiche.
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Quando ho iniziato a fare apnea ricordo che la tecnica consigliata e praticata
da molti apneisti per compensare alle quote critiche era il richiamo del
diaframma.
Quando l’apneista sente di essere vicino al “limite di compensazione” agisce con
una manovra di richiamo del diaframma verso l’alto, questa tecnica va comprimere
ulteriormente i polmoni mandando l’aria residua verso la bocca.
Quest’aria potrà essere utilizzata per compensare maschera e orecchie.
Personalmente ho sempre avuto difficoltà ad eseguire questa manovra a quote
profonde (oltre i 40 metri) e quando provavo a farla lo sforzo applicato mi
portava ad inarcare la schiena e puntualmente perdevo il rilassamento necessario
per la discesa.
Con tempo, osservando coloro che riuscivano in questa tecnica e coloro che
invece avevano i miei stessi problemi notai che i due gruppi di persone avevano
caratteristiche di compensazione differenti.
Farei dunque una prima importante distinzione tra coloro che compensano senza dover portare la mani al naso (Hands-Free) e coloro invece che devono farlo praticando la manovre di Valsala.
Ho notato come i primi incontrano molti meno problemi di compensazione in
profondità, hanno la fortuna di patire meno l’adattamento alla pressione ed
inoltre, raramente risentono lo squeeze polmonare dato dalla pressione.
Ipotizzo dunque che queste persone hanno “le doti e la fortuna” di riuscire ad
aprire volontariamente le tube di Eustachio mettendole in diretta comunicazione
con l’aria contenuta nella faringe e nella bocca.
Questa condizione permette di utilizzare in modo molto efficiente l’aria di
questi spazi e la compensazione risulta automatica senza dover richiamare aria
dalle strutture polmonari con la stessa frequenza di chi, invece, pratica la
manovra di Valsalva.
Ma veniamo ora a noi, cioè tutti quegli apneisti che devono obbligatoriamente portare le dita al naso per poter compensare correttamente.
La tecnica che prende il nome di Valsalva è la manovra di compensazione più
semplice da effettuare.
Essa consiste nel tappare le narici con le dita e richiamando aria dai polmoni
(simulando un tentativo di espirazione attraverso il naso), si ottiene
l’apertura delle tube e la conseguente compensazione dell’orecchio medio.
La compensazione avviene quindi coinvolgendo direttamente i polmoni, pertanto
durante la manovra la trachea sarà aperta ed in comunicazione con gli spazi
aerei laringei e faringei.
A profondità significative la compressione polmonare data dalla pressione
ambiente rende molto difficoltoso il richiamo di aria dalle strutture polmonari.
Solamente un adeguato rilassamento di tutta la muscolatura di collo, spalle e
tronco consente la manovra di compensazione attraverso il richiamo del
diaframma.
Alla minima contrazione muscolare i tentativi di compensazioni si trasformano in
inefficaci ed inutili rumori gutturali.
Purtroppo l’impossibilità di “recuperare” aria utile alla compensazione
determina un ulteriore schiacciamento della maschera e se si tentano azzardate
compensazioni oltre le proprie “quote limite” può accadere di essere soggetti ad
uno squeeze polmonare con conseguente edema.
A parer mio (ribadisco che è solo un parere personale) ciò accade in quanto per
tentare di compensare oltre queste quote si devono aprire le vie aeree che
portano ai polmoni, ma la pressione negativa della maschera si ripercuote
sull’albero respiratorio determinando una sorta di effetto ventosa.
Questa assunzione a carico dei polmoni potrebbe essere responsabile dell’espectorato
roseo presente nella saliva.
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Il confronto con atleti con le stesse problematiche ha portato a sperimentare
delle metodologie di compensazione che potessero di ovviare alla problematica
dello schiacciamento polmonare e della compensazione in profondità.
La pratica assidua di tuffi fondi ed i consigli di coloro che prima di noi
avevano sorpassato i limiti di compensazione ci portò a concludere che una volta
raggiunte le massime quote, dove la compensazione era ancora agevole, era
necessario effettuare un’ultima compensazione della maschera per poi smettere di
compensarla e quindi mantenere le narici serrate durante tutta la caduta,
parallelamente la compensazione dell’orecchio medio doveva diventare molto più
frequente.
Questa manovra permette di compensare in modo rapido e sequenziale mantenendo la
glottide serrata ed è una manovra propedeutica ad imparare correttamente la
Tecnica Frenzel (da noi conosciuta come Marcante-Odaglia).
Quest’ultimo accorgimento consente infatti di isolare le strutture polmonari
senza che vengano coinvolte dall’effetto ventosa precedentemente citato.
L’interruzione della compensazione della maschera spiega il perché, tra gli
apneisti che raggiungono quote abissali, è diffuso l’utilizzo di maschere molto
morbide, deformabili ed avvolgenti che non causano dolore anche quando sono
molto compresse sul volto.
La pratica della Compensazione Sequenziale associata alla chiusura della
glottide ha permesso a me ed altri apneisti di incrementare le quote dei tuffi,
ma soprattutto ci ha permesso di farlo senza incorrere nuovamente nello squeeze
polmonare.
La pratica di questa manovra deve essere graduale ed è opportuno comprenderla e
gestirla correttamente prima sperimentarla alle proprie quote limite.
Inoltre è molto importante imparare a mantenere la glottide chiusa anche durante
la fase di risalita.
Dopo la virata in profondità, infatti, l’apneista è solito togliere la mano dal
naso mettendo in contatto lo spazio aereo a pressione negativa della maschera
con lo spazio aereo della faringe. Se la glottide resta volontariamente serrata
i polmoni resteranno isolati dall’effetto ventosa indotto dalla maschera.
In caso contrario si rischia un forte schiacciamento polmonare con conseguente
edema.
Buon Blu a tutti voi… Federico
www.federicomana.com
dal 14 al 21 novembre 2008
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